I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Rassegna sulla gestione dei rifiuti

di Mauro Calabrese

Rifiuti - Tassazione - Presupposto impositivo - Tari - Esenzione - Onere della prova

Premesso che, ai sensi della Legge n. 147 del 2013, la «Tassa sui Rifiuti» (Tari) è dovuta da chiunque possieda o detenga, a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e che nella determinazione della superficie assoggettabile a tassazione non si tiene conto solo di quella ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori e a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento, il presupposto impositivo della Tari rimane, pur sempre, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così che, pur valendo sempre il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale.

In virtù del principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, l’accertamento relativo allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali integra, così come del resto la stessa produzione di detti rifiuti, elemento di fattispecie che non ha connotazione di durevolezza in quanto suscettibile di modifiche, e variazioni„ dall’uno all’altro periodo di imposta.

Corte di Cassazione, Sezione Quinta Civile, Sentenza 7 luglio 2022, n. 21490

 

Rifiuti - Tassazione - Presupposto impositivo - Tarsu - Esenzione - Onere della prova

Ai sensi del Dlgs n. 507 del 1993, il presupposto impositivo della «Tassa sullo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani» (Tarsu) è costituito dalla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, la tassa è dovuta unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, ponendo la normativa una presunzione iuris tantum di produttività che può essere superata solo dalla prova contraria gravante sul detentore dell’area.

L’esenzione dalla Tarsu per alcune aree occupate o detenute può, pertanto, essere riconosciuta solo alla duplice condizione che in tali aree si formino rifiuti speciali e che allo smaltimento di tali rifiuti provveda il produttore dei medesimi a proprie spese, gravando sul contribuente l’onere di provare l’esenzione della superficie tassabile ove si producono, di regola, rifiuti speciali, in quanto, se è vero che l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria grava sull’Amministrazione, il diritto all’esenzione va provato dal contribuente, costituendo le esenzioni, anche parziali, eccezione alla regola generale di pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale.

Corte di Cassazione, Sezione Quinta Civile, Sentenza 7 luglio 2022, n. 21555

 

Rifiuti - Natura - Definizione - Traffico illecito - Utilità - Venditore - Acquirente - Operazioni di recupero - Tutela dell’ambiente

La condotta del «disfarsi» che, ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), del Dlgs. n. 152 del 2006, qualifica l’oggetto come rifiuto, è propria di chi «cede» il bene, non di chi l’acquista, per poi rivenderlo, per cui la qualifica della cosa come rifiuto, in buona sostanza, preesiste, sia per le sue caratteristiche oggettive che per le espresse classificazioni-catalogazioni operate dal legislatore nazionale ed unionale, alle sue possibili vicende negoziali vietandone o condizionandone il commercio. Altrimenti ragionando, ai fini della configurazione del reato di traffico illecito di rifiuti ex articolo 259, comma 1, del Codice dell’Ambiente, il commercio di rifiuti escluderebbe in radice la natura stessa di «rifiuto» dei beni oggetto di traffico solo perché l’acquirente vi trovi una qualche utilità, a prescindere dalla necessità delle operazioni di recupero necessarie alla cessazione della qualità di rifiuto stesso.

Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, Sentenza 5 luglio 2022, n. 25633

 

Rifiuti - Definizione - Normativa europea - Principio di precauzione e prevenzione - Condotta penalmente rilevante -Combustione illecita di rifiuti

Partendo dalla definizione di rifiuto di cui all’articolo 183, comma primo, lettera. a) del Dlgs. n. 152 del 2006, a termini della quale costituisce rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione ovvero l’obbligo di disfarsi, seguendo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, che impone di interpretare l’azione di disfarsi alla luce della finalità della normativa europea, volta ad assicurare un elevato livello di tutela della salute umana e dell’ambiente secondo i principi di precauzione e prevenzione, richiede che la qualificazione alla stregua di rifiuti dei materiali di cui l’agente si disfa consegua a dati obiettivi connaturanti la condotta tipica, anche in rapporto a specifici obblighi di eliminazione, con conseguente esclusione della rilevanza di valutazioni soggettivamente incentrate sulla mancanza di utilità, per il medesimo, dei predetti materiali.

Ciò premesso, ai fini l’identificazione della condotta tipica per integrare il delitto di combustione illecita di rifiuti, quale reato di pericolo punito dall’articolo 256-bis del Codice dell’Ambiente, il reato si configura con la condotta di appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata, non essendo richiesto, per l’integrazione del reato, la dimostrazione del danno all’ambiente e il pericolo per la pubblica incolumità, restando punibile, salvo che il fatto costituisca più grave reato, non soltanto chi fa iniziare il fuoco, bensì pure chi mantiene il fuoco originariamente acceso, poiché lo scopo della norma è di impedire che siano bruciati dei rifiuti.

Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, Sentenza 23 giugno 2022, n. 24302

 

Rifiuti - Violazioni - Bene giuridico ambiente - Offensività - Reati di pericolo astratto o presunto -

Ai fini della valutazione della potenziale offensività «in concreto» per il bene giuridico dell’ambiente, tutelato dal Dlgs n. 152 del 2006, conseguente alla contestata violazione delle analitiche prescrizioni imposte dalla Pubblica Amministrazione nell’apposito provvedimento autorizzativo ad operare nel settore dello smaltimento dei rifiuti, ai fini della configurazione di reati di pericolo astratto o presunto, da un lato la verifica dell’offensività «in concreto» non può essere svolta tenendo conto della situazione che si palesa «dopo» la commissione del reato; dall’altro lato, non si può neppure indagare se la condotta, posta in essere in formale violazione di legge, fosse, in origine, tale da esporre a «concreto pericolo» il bene giuridico tutelato.

L’indagine deve essere condotta collocandosi «ex ante» e accertando la presenza di elementi concreti e non meramente ipotetici o congetturali che, secondo la migliore scienza ed esperienza facciano ritenere probabile che il comportamento specificamente realizzato esprima quella situazione pericolo per il bene giuridico corrispondente a quella assunta nella norma penale quale ratio dell’incriminazione.

Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, Sentenza 14 giugno 2022, n. 23091