Appalti

Il governo: Pnrr fuori tempo, così non va. Energia al posto di opere irrealizzabili

Meloni, Giorgetti e Fitto dicono esplicitamente che il Piano ha bisogno di un restyling. Fitto verificherà la fattibilità dei singoli interventi su tempi di conclusione ed extracosti

di Giorgio Santilli

Dopo la cabina di regia sul Pnrr presieduta da Giorgia Meloni, il governo apre ufficialmente il capitolo della revisione del Piano o, meglio, della sua ridiscussione con Bruxelles. Un piano B da costruire passo dopo passo. Si va verso una proposta di revisione del piano - non tutto insieme ma opera per opera - per eliminare gli interventi che si dovesseo rivelare irrealizzabili per eccesso di costi o per forti ritardi prevedibili sui tempi di realizzazione. E liberare così risorse destinate a progetti di investimento nel settore dell’energia, considerata la vera priorità oggi da Meloni.

Questa strategia ha due punti di attacco. Il primo è un fitto confronto del ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto, con la commissione Ue per dimostrare la situazione dei singoli interventi e concordare con la commissione, in tempi non lunghi, quali vadano confermati e quali accantonati o sostituiti. Il secondo è la discussione in sede Ue del Repower Eu che consentirà ai Paesi membri di aggiungere al Pnrr un capitolo energetico. Le due cose per l’Italia vanno insieme perché Repower Eu dovrebbe essere finanziato soprattutto con le quote residue di prestiti Eu non utilizzate per il Pnrr e l’Italia invece le ha già impegnate tutte. Deve quindi liberare risorse dai progetti attuali per inserire progetti energetici. Resta sullo sfondo - ma questa è un’altra partita - anche la strada di utilizzare in chiave energetica risorse inutilizzate di fondi di coesione Ue e di Fondo sviluppo coesione.

Ma andiamo per ordine e partiamo dalle posizioni che ieri il governo ha preso pubblicamente per rendere plastica la necessità di modificare il Pnrr. Nessuno lo ha detto così esplicitamente, perché Bruxelles vigila e non ammette una modifica in blocco del Piano, ma le dichiarazioni di premier e ministri indicano chiaramente la direzione di marcia.

Anzitutto la premier che, nell’incontro pomeridiano con le parti sociali, ha detto di volere «una alleanza sulla sicurezza energetica» fondata sulle risorse del Pnrr. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, era stato più esplicito in mattinata nella sua audizione parlamentare sulla Nadef: «A quadro normativo attuale il piano così come approvato non si riesce a fare nei tempi previsti», ha detto, aggiungendo che «urge una modifica del quadro normativo e auspico che la discussione in sede europea», in particolare su Repower Eu, «arrivi più presto possibile a una positiva conclusione». E Fitto, che ha passato la giornata di ieri a Bruxelles, si sbilancia a dire «che serve più flessibilità sugli investimenti» finanziati con il Pnrr e con gli altri fondi Ue, ma soprattutto spiega che «il Pnrr è nato prima della guerra e oggi i problemi sono costi e quote».

Proprio queste due, come abbiamo visto, sono le leve del confronto che Fitto sta costruendo con Bruxelles: gli extracosti frenano lo svolgimento ordinato degli int+erventi infrastrutturali; le quote potranno essere riviste con la spinta di Repower Eu.

C’è un terzo elemento che traspare da molti interventi di ministri e della stessa premier: la convinzione che l’attuazione del Piano lasciata da Draghi lasci molti punti oscuri, non nel raggiungimento degli obiettivi di fine 2022, per cui il cammino viene confermato abbastanza tranquillo, quanto per l’iter che dovrebbe portare nel 2023 all’aggiudicazione delle molte gare e all’avvio dei cantieri.

Per avere carte da portare a Bruxelles, Fitto cura anche il fronte interno: sta avviando in questi giorni un monitoraggio dettagliato degli investimenti previsti dal Pnrr e martedì dedicherà l’intera giornata al confronto con i ministeri proprio sullo stato del cronoprogramma. Una sorta di cabina di regia informale che il ministro intende tenere con periodicità costante una volta a settimana. Non si accontenterà di ricevere dai ministri giustificazioni formali o fotografie sfocate della situazione. Anche perché il suo obiettivo è illustrare alla commissione tutti i ritardi del Piano, soprattutto quelli ereditati.

E mentre il governo lavora al nuovo film sul Pnrr la maggioranza sembra ancora guardare a quello vecchio. Nella risoluzione sulla Nadef i partiti della maggioranza chiedono al governo di «individuare specifiche risorse da destinare a spese in conto capitale, al fine di salvaguardare il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr e del Pnc e di garantire un adeguato livello di investimenti, anche per la sicurezza nazionale tenendo conto degli impegni assunti in relazione alla grave crisi internazionale in atto in Ucraina».

Una richiesta apparentemente in sintonia con la vecchia strategia del governo Draghi che aveva trovato 10 miliardi di risorse nazionali aggiuntive nel 2022 per pagare gli extracosti delle opere infrastrutturali e salvare così il Pnrr e la sua attuazione.

Meloni e Giorgetti hanno già fatto capire di aver cambiato strategia: niente compensazioni agli extracosti per il 2023, almeno per il momento. E si capisce perché: accollarsi gli extracosti anche quest’anno frenerebbe la ricontrattazione con Bruxelles dei contenuti del Piano, frenerebbe il piano B.

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