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Sul peculato non pesano i parametri del giudizio contabile

Una sentenza destinata a essere punto di riferimento su uno dei più “classici” reati contro la pubblica amministrazione, il peculato, insieme a quella che, nel maggio 2019, ha definitivamente prosciolto dalle accuse l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino

di Giovanni Negri

Una sentenza destinata a essere punto di riferimento su uno dei più “classici” reati contro la pubblica amministrazione, il peculato, insieme a quella che, nel maggio 2019, ha definitivamente prosciolto dalle accuse l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino. È quella della Cassazione, la n. 40595 della sesta sezione penale, depositata ieri. La pronuncia ha da una parte riqualificato fatti di reato, da peculato a truffa, determinandone la prescrizione, dall’altra sancito, per altre condotte, che il fatto non sussiste. Il tutto in una vicenda che aveva visto coinvolto, in un proverbiale processo per “spese pazze”, un consigliere della Regione Emilia Romagna.

L’avvocato difensore Vittorio Manes , docente di Diritto penale a Bologna, sottolinea come a emergere è una serie di elementi: «Innanzitutto la differenza qualitativa e la notevole distanza, che vi è e vi deve essere, tra responsabilità erariale e responsabilità penale per l’impiego di fondi pubblici. Poi, l’inammissibilità di ogni contestazione che sia fondata su una, palese o surrettizia, inversione dell’onere della prova. Infine, le precisazioni sui confini dei concetti di “disponibilità giuridica” e “disponibilità di fatto” del denaro pubblico che delimitano il perimetro del grave reato di peculato rispetto ad altre, meno gravi, fattispecie».

Nel dettaglio allora, la Cassazione contesta le conclusioni della Corte d’appello che, nel sancire la condanna del consigliere, ha tradotto nel processo penale le regole del processo per danno erariale, dove , in particolare, «l’onere della prova adattato al giudizio di responsabilità contabile, corrisponde a quello previsto in caso di inadempimento delle obbligazioni, il debitore è tenuto al risarcimento del danno, a meno di non provare che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità a delle prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

Inoltre, in sede penale sono state effettuate valutazioni sui profili di congruità e ragionevolezza delle spese contestate, trascurando invece la dimostrazione dell’appropriazione o distrazione per finalità private. La Corte d’appello, infatti, era intervenuta in materia di inerenza, di non ammissibilità delle spese sostenute con fondi pubblici «secondo concetti di ragionevole valutazione delle situazioni coperte dalla normativa sui rimborsi», addirittura, mette in evidenza la Cassazione, di opportunità di organizzare gli incontri in modo da evitare dei costi, fatti che non solo, osserva la Cassazione, non possono integrare reati fondati sulla condotta fraudolenta, ma a ben vedere, «neanche un impossessamento, lì dove dovesse ricorrere la diretta disponibilità dei fondi».

Non ci sono ragioni quindi per un’interpretazione, conclude sul punto la Cassazione, che avrebbe l’effetto di estendere l’area della giurisdizione penale, attribuendole «una sorta di potere regolatore della gestione delle risorse pubbliche», rendendo reato a valle condotte che a monte erano state ritenute lecite dagli organi amministrativi deputati all’approvazione delle spese.

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