Fisco e contabilità

Abitazioni in due Comuni, la comproprietà cancella le scelte sull’esenzione

Per fermare le sanzioni sugli anni precedenti vanno dimostrate le ragioni di lavoro per la residenza

di Pasquale Mirto

Non mancano le incertezze sullapplicazione della nuova norma che consente, in caso di spacchettamento della famiglia su due Comuni diversi, l’esenzione Imu per abitazione principale per un immobile.

L’articolo 5-decies del Dl 146/2021 ha modificato il comma 741, lettera b) della legge 160/2019, prevedendo che «nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare».

Con l’aggiunta «o in comuni diversi» viene ora garantita a tutti i nuclei un’abitazione principale. La scelta di quale unità immobiliare destinare ad abitazione principale ai fini Imu è rimessa al contribuente, che dovrà indicarla (si ritiene) mediante dichiarazione Imu.

La disposizione produce effetti dal 2022, anche considerando che non si è autoqualificata come norma di interpretazione autentica forse per il granitico orientamento della Cassazione (tra le tante, n. 36676/2021, 15316/2021, 2344/2021), che ha negato la possibilità di beneficiare delle agevolazioni per abitazione principale in due Comuni diversi, ad eccezione del caso di effettiva separazione di fatto dei coniugi.

Il contenzioso affonda le sue radici nella circolare Mef 3/Df/2012, in cui si era ritenuto di poter considerare «principali» entrambe le abitazioni nei due Comuni, «poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative».

Ma le esigenze di lavoro si sono estese anche alle ferie, e la maggior parte delle case turistiche sono diventate abitazioni principali.

La nuova formulazione consente di individuare quale dei due immobili considerare abitazione principale. Ma non si tratta di scelta libera, magari condizionata dalla rendita o dall’aliquota Imu più alta, perché si prevede sempre la condizione della residenza anagrafica e della dimora abituale. Pertanto, se i coniugi possiedono in comproprietà l’abitazione in città e uno dei due ha anche l’abitazione al mare, dove ha spostato la residenza ma non la dimora abituale, non c’è scelta: l’abitazione al mare continuerà a essere soggetta a Imu e quella in città sarà esente solo per il comproprietario senza altre proprietà.

Sul recupero degli anni pregressi, appare prudente aspettare l’esito della Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi sulla normativa in vigore fino al 2021. Sotto il profilo sanzionatorio, esiste un filone giurisprudenziale che ritiene che il potere di disapplicazione delle sanzioni sia rimesso al giudice tributario (da ultimo, Cassazione n. 36554/2021), l’unico in grado di accertare l’incertezza interpretativa che legittima la disapplicazione.

Un giudizio pendente innanzi la Corte Costituzionale non è sufficiente a giustificare la disapplicazione, posto il divieto normativo dell’articolo 10, comma 3 della legge n. 212/2000. Né, infine, appare tutelante per il Comune il ricorso all’articolo 10, comma 2, in quanto le indicazioni fornite con la circolare 3/2012 provengono dal ministero e non dal Comune, oltre a essere indicazioni non vincolanti. Peraltro il ministero aveva giustificato la possibilità di possedere due abitazioni principali per esigenze lavorative, e non certo per esigenze “turistiche”. Volendo giustificare la disapplicazione delle sanzioni a causa dell’affidamento derivante dalla circolare n. 3/2012, spetta quindi al contribuente dimostrare che residenza e dimora in altro comune nascono da esigenze lavorative. Il che, si ritiene, limita il problema a pochi casi.

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