Fisco e contabilità

Da Napoli (950 milioni) a Torino (430), il buco che prosciuga i Comuni

Rischio crack. Il «no» della Consulta al ripiano in 30 anni dei deficit da prestiti sblocca-debiti colpisce 1.750 amministrazioni

di Gianni Trovati

No. I 500 milioni recuperati in extremis dal secondo decreto «sostegni» dopo la caduta della norma salva-bilanci non bastano. E, a ben guardare, non si capisce bene nemmeno a che cosa servano. Perché nessuno fin qui ha dettato regole chiare su come ripianare il disavanzo esploso nei conti degli enti locali sui prestiti statali 2013-2015 per pagare le fatture arretrate dei fornitori. La valanga, secondo i dati offerti ieri dal ministro dell’Economia Franco rispondendo alla Camera a un quesito di Roberto Pella (Fi), riguarda 1.750 enti locali. Poco più di 800, calcola l’Ifel, rischiano il dissesto.

Solo a Napoli, dove il Comune viaggia da anni oltre l’orlo del default (bloccato per legge fino al 30 giugno) anche senza la nuova botta, la questione vale poco meno di 950 milioni. A Torino il colpo è da 430 milioni, a Reggio Calabria da 176 e a Salerno da 127. A Napoli, che come capita spesso primeggia quando si parla di crisi dei conti, il ripiano del buco chiederebbe un migliaio di euro ad abitante. Ma lontano dai grandi centri ci sono casi anche più gravi, con conti fino a 2mila euro a residente. Quasi sempre al Sud.

La sorpresa che ha travolto i Comuni mentre stavano chiudendo i rendiconti 2020 e i preventivi 2021-23 è arrivata a fine aprile con la sentenza 80/2021 della Consulta, che per la seconda volta ha bocciato le regole sulla gestione di quei prestiti. La questione è complessa ma le ricadute sono facili da riassumere. In gioco secondo i calcoli Ifel ci sono circa 2,8 miliardi di maggiori disavanzi da ripianare: farlo in 30 anni, come chiedevano le regole cancellate dalla Corte, costa circa 110 milioni annui (gli anni residui sono 25), mentre chiudere il tutto nei tempi ordinari (tipicamente, tre anni) porta a oltre 900 milioni i fondi da accantonare in ogni esercizio.

Il deposito della sentenza ha scatenato un lavorìo vorticoso alla ricerca di un rimedio, che per ora si è tradotto solo nei 500 milioni prima destinati a rifinanziare il fondo per gli enti in deficit strutturale e ora girati a poco più di 300 fra gli enti più colpiti. L’Anci ha proposto un ventaglio di soluzioni, a partire dal ripiano statale dell’extradeficit. Ma la discussione nel governo si è presto concentrata su un ripensamento tecnico che permettesse di far rientrare queste somme nei meccanismi di accompagnamento della riforma contabile del 2015. Ipotesi che ha un pregio e un difetto: è gratis per lo Stato, perché torna a permettere la copertura trentennale, ma così facendo va in direzione contraria alla sentenza della Corte. Un ampio fronte politico (solo Iv ha sollevato forti dubbi) preme per ripescare in Parlamento la soluzione esclusa dal decreto. Ma ieri Franco ha tirato il freno: «Il Governo - ha detto - sta attentamente valutando la compatibilità costituzionale dell’eventuale norma da adottare».

Non serve una laurea in scienza delle finanze per cogliere il paradosso di un insieme di regole nate per pagare le vecchie fatture senza nuovo deficit, che ora aprono un bivio fra la creazione istantanea di disavanzo per miliardi o il fallimento immediato di centinaia di Comuni. E non occorre un acume particolare nemmeno per capire che il caso aperto dalla sentenza della Consulta è la spia di un problema più strutturale negli enti in crisi. Lo dice la geografia, che concentra 739 degli 812 Comuni a concreto rischio dissesto (il 91%) al Sud, dove la riscossione delle entrate zoppica da sempre, apre voragini nei bilanci locali e allunga i tempi di pagamento ai fornitori sanati dai prestiti statali. Per questo Franco ha rilanciato l’esigenza di una riforma del dissesto che il governo, ha detto, «valuta in vista della legge di bilancio». In pista resta anche l’accollo statale dei debiti locali (la norma c’è, l’attuazione meno). Ma senza ripensare anche ai meccanismi di riscossione delle entrate non si andrà lontano.

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