Urbanistica

Pnrr: prima i target 2022, poi il capitolo energia. Ipotesi commissario

Per il nuovo governo prioritario centrare gli obiettivi di dicembre, seguirà la trattativa con la Ue su Repower Eu e possibili proroghe ai progetti

di Giorgio Santilli

In attesa di entrare nel girone che dovrebbe portarla alla formazione del governo, Giorgia Meloni già da oggi, con le mosse che farà sul Pnrr, accenderà i riflettori su tre partite decisive: 1) quella con la Ue, che aspetta segnali e valuterebbe con occhio più benevolo la legge di bilancio (e gli spazi di deficit annessi) se dovesse riscontrare un impegno sincero a portare a termine gli obiettivi previsti per fine 2022; 2) quella con Matteo Salvini, che proverà a chiedere modifiche sulla concorrenza, in particolare sulle concessioni balneari, per avviare subito il duello con Bruxelles, testare i rapporti di forza dentro la coalizione e uscire dall'angolo in cui il voto lo ha cacciato; 3) quella con Mario Draghi con cui la coabitazione (in italiano: passaggio di consegne) è inevitabile per un mese abbondante, in particolare proprio sull'attuazione del Pnrr, oltre che sulla legge di bilancio (sempre con l'occhio rivolto a Bruxelles).

L'assessment positivo con cui in settimana la commissione Ue darà l'ok formale alla seconda rata di 24,1 miliardi sui target del 30 giugno faciliterà forse i rapporti fra governo nascente e Unione, ma il primo vero esame europeo sarà sulla continuazione della politica attuativa del Pnrr per il raggiungimento dei 55 obiettivi del 31 dicembre che valgono altri 21,8 miliardi. Continuazione: perché Draghi ha già fatto gran parte del lavoro e a fine ottobre lascerà 29 obiettivi raggiunti e gli altri 26 ben avviati sulla strada del successo. Cominciare a distinguersi o sparare bordate su singoli obiettivi solo per dare un segno di discontinuità non sarebbe affatto un buon inizio per il governo nascente, alle prese con tempi stretti, macchina in stand by che aspetta segnali, iter attuativi strettissimi e nessun margine di discussione con la Ue su quei 55 obiettivi.

Finora la leader di Fdi ha parlato a un ampio spettro di elettorato del rapporto che vuole con l'Europa, critico ma senza rotture: per il Pnrr si traduce in volontà di modifiche, senza però spezzare il filo che ci tiene legati ai 191,6 miliardi di finanziamenti. A parte il rimbrotto che si è presa da Silvio Berlusconi che - nelle sue 48 ore più filo-europee della campagna elettorale - ha detto «il Pnrr non si cambia», Meloni ha solo accennato alle modifiche da fare: più investimenti energetici, indicazione generica ma saggia, senza dire però che neanche una virgola del Piano si può cambiare (o integrare) se Bruxelles non è d'accordo.La leader di Fdi è più avanti di quanto abbia fatto capire al suo elettorato e lavora già a un doppio livello. Il primo è portare a casa subito e senza battere ciglio i target previsti per fine dicembre in continuità con l'azione di Draghi (e anzi con il suo aiuto) respingendo l'eventuale assalto di Salvini e le opposizioni delle categorie interessate. Ci sarà spazio per qualche ritocco sui balneari e forse sulle regole per i servizi pubblici locali, che però, con il freno all'in house, colpiscono soprattutto la lobby dei sindaci rossi.

In realtà, se non sbaglierà le prime mosse, il grande spazio politico Meloni potrà aprirselo per concordare qualche deroga sui tempi di attuazione dei grandi progetti (causa extracosti) e soprattutto sul capitolo aggiuntivo già intavolato da Bruxelles, Repower Eu. Lì Meloni potrà mettersi in scia con quanto si sta facendo a Bruxelles e al tempo stesso legittimamente battere i pugni sul tavolo per chiedere più risorse a investimenti energetici. Così potrà dire di avere cambiato il Recovery senza strappi con la Ue.Sul fronte interno Meloni deve far capire subito - se non vuole azzoppare la macchina - come organizzerà le squadre governative preposte all'attuazione.

Non c'è spoil system per le strutture chiave del Pnrr come la segreteria tecnica a Palazzo Chigi, guidata da Chiara Goretti, e la struttura di coordinamento presso la Rgs guidata da Carmine Di Nuzzo. Il mandato di queste due strutture chiave dura fino al 2026. Un cambiamento è teoricamente possibile ma pericoloso, da motivare a Bruxelles che di queste strutture si fida e con queste dialoga tutti i giorni. Insieme alla grande influenza personale di Draghi in Europa, sono proprio queste strutture che hanno spianato finora tutte le difficoltà.Difficile poi ipotizzare grandi stravolgimenti nell'assegnazione di deleghe politiche.

Negli ambienti di centrodestra c'è chi da tempo propugna un supercommissario Pnrr che svolga il coordinamento per conto del premier e sottragga poteri ai ministeri. Se il supercommissario fosse una figura tecnica, sarebbe - come tutti i commissari tecnici - un ulteriore livello decisionale in concorrenza con i ministeri, destinato a complicare più che a semplificare. Se fosse figura politica sottrarrebbe potere e spazio al premier. Avrebbe un senso se fosse una figura spendibile a Bruxelles per aiutare Meloni a costruire i rapporti con l'Europa proprio usando come leva il Pnrr, ma difficilmente la neopremier in pectore abdicherebbe a questo ruolo.

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