Appalti

Infrazione Ue, nuove sanzioni, pagamento diretto: il subappalto resta un «cantiere» di questioni aperte

di Daniele Spinelli

L'istituto del subappalto, nemmeno nel nuovo Codice dei contratti, è riuscito a trovare una stabile sintesi tra la disciplina liberalizzante propria del diritto europeo e le esigenze di ordine pubblico che, sin dall'origine, hanno generato una normativa nazionale improntata invece al rigore.

Il diritto europeo, quale diritto della concorrenza - seppure nella forma meno pura di quello d'oltreoceano - mal vede l'imposizione di vincoli legali allo spontaneismo del mercato, perchè ritenuti capaci di condizionare e comprimere il compiuto spiegamento dei suoi effetti, per definizione ritenuti benefici. Ma se in una prospettiva europea è, dunque, il continuo adattamento del contesto alla dinamicità dell'efficienza e non la fissità della regola il valore incrementale dell'economia – sul presupposto che il mercato non solo vive nel mutamento ma vive di mutamento- per la cultura giuridica nazionale la prospettiva è tutt'altra, riflettendo all'opposto una storia di timori, che si sostanzia nella convinzione che il mercato debba prevalentemente funzionare secondo una logica “istituzionale”, ossia in maniera indipendente rispetto alla pressione di interessi privati non sempre innocenti.

L’intento di aderire a questo approccio, è particolarmente evidente proprio con riguardo al subappalto, ambito nel quale il legislatore nazionale, proprio per non consegnare l'istituto a meri calcoli di convenienza, quando non a vere e proprie pressioni criminali, non è mai voluto restare sullo sfondo: non per niente il nucleo essenziale della disciplina è rappresentato dalle norme di ordine pubblico, contenute nella cd. Legge antimafia (art. 18, L. 55/90) dei cui obiettivi anche la disciplina del subappalto deve farsi garante, anche a sacrificio della libertà organizzativa dell'impresa esecutrice, secondo cui l'appaltatore deve poter scegliere in autonomia le modalità di esecuzione dei lavori.

È curioso rilevare come questa polarità di logiche e di obiettivi si specchi in due provvedimenti quasi coevi: è di questi giorni infatti la notizia che la Commissione Europea attraverso una formale lettera di messa in mora all'Italia – primo passo della procedura d'infrazione– nel contestare alcune scelte difformi operate in sede di recepimento, ha mosso rilievi anche all'art 105 relativo al subappalto rilevando, verrebbe da dire ancora una volta, la non conformità alle direttive dei vincoli quantitativi ivi contemplati (in particolare della rimozione del limite del 30% della quota subappaltabile che, come noto, con il nuovo codice deve calcolarsi anche per i lavori sull'importo complessivo del contratto, fatta salva la particolare disciplina per le cd. categorie Sios).

Dall'altro lato, sul fronte nazionale, come già osservato in questa rivista («Subappalti illeciti, con il decreto Sicurezza diventa possibile anche l'uso delle intercettazioni» di Mario Antinucci e Pierluigi Piselli) tra le molteplici innovazioni portate dal cd. Decreto Sicurezza (D.L. 113/2018), viene invece previsto l'inasprimento del trattamento sanzionatorio per la fattispecie di subappalto non autorizzato trasformandosi così il reato da contravvenzionale a delitto. In particolare l'art. 21 della L. 646/1982 a seguito della modifica prevede che: «Chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le opere stesse, senza l'autorizzazione dell'autorità competente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore ad un terzo del valore dell'opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell'opera ricevuta in appalto. Nei confronti del subappaltatore e dell'affidatario del cottimo si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa pari ad un terzo del valore dell'opera ricevuta in subappalto o in cottimo. È data all'amministrazione appaltante la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto».

Gli effetti incerti dell’inasprimento delle sanzioni
Soffermandoci succintamente su questa novità, quello che stupisce innanzitutto è l'inesistente coordinamento con la normativa antimafia. Il che produce effetti paradossali come quello per il quale il massimo della cornice edittale (5 anni) previsto per il caso di un subappalto non autorizzato superi quello previsto per il caso in cui un funzionario pubblico permetta la conclusione di contratti in favore di soggetti mafiosi (4 anni) con ogni conseguenza anche in ordine ai mezzi d'indagine.

Ma non meno perplessità suscita l'inasprimento della pena alla luce della nota difficoltà di individuare i confini della nozione di subappalto tanto nei lavori quanto nelle forniture e nei servizi.Come se non fosse già sufficiente l'amplissimo contenzioso in materia, sarà così lecito attendersi un fiorire di cause penali nella quali dibattere l'incerto confine tra la fornitura in opera ed il subappalto – con i talvolta labilissimi distinguo tra bene finito e non finito – e/o di quando si configuri subappalto nell'amplissimo settore delle forniture dove, in ragione dell'assenza di un contratto di appalto a monte, si contrappongono due posizioni estreme ed opposte, sintetizzabili rispettivamente in «niente è subappalto» o «tutto è subappalto».
Ed ancora quando si configuri il non subappalto di attività specifica – interpretata da Anac (Parere 27 settembre 2012 AG 16/2012) e giudici amministrativi (C.d.S, sez. III, sentenza del 2 maggio 2016 n. 1661) – in termini di ampiezza molto diversi, ovvero quando ricorrano le condizioni esimenti del nebuloso contratto di cooperazione e/o del contratto di associazione in partecipazione.

In buona sintesi, l'inasprimento sanzionatorio e d'indagine, se mai potrà scongiurare abusi dell'istituto, di certo favorirà l'emersione del potere degli specialismi e delle deleghe di scelta che essi comportano, con ciò creandosi dinamiche allocative esogene alle dinamiche reali nonché scardinamenti degli assetti delle filiere di lavorazione interne alle imprese, soprattutto di quelle di più grande dimensione.

Tutto ciò significa in concreto che, ad esempio, nel settore in senso ampio dell'impiantisca, che è essenzialmente industria di assemblaggio a monte e di manutenzione a valle, le imprese dovranno ogni volta interpellare allarmati gli avvocati per sapere se configuri subappalto o meno un semplice intervento in garanzia e/o una misurazione strumentale in sito da parte di un soggetto terzo, o addirittura la realizzazione di un componente da parte di una divisone estera di una medesima multinazionale.

Così non ci si può sottrarre all'impressione che l'assenza del dibattito parlamentare abbia particolarmente nuociuto ad un approccio equilibrato al delicato tema. In particolare, risultano sottovalutati dal legislatore esiti paradossali e controeffetti di vario tipo, conseguenza diretta del non essersi avveduto delle multiformi realtà che possono celarsi dietro lo schema contrattuale del subappalto. Sarà così ancora una volta la giurisprudenza che dovrà stabilire di volta in volta il quadro di riferimento che, fatalmente, si formerà più per sommatoria casistica che per principi generali, con tutto ciò che ne consegue in termini di certezza del diritto.

Il nodo dei pagamenti diretti
Anche con riguardo al pagamento diretto del subappaltatore emerge la difficoltà del legislatore di trovare un punto di equilibrio tra due opposte esigenze: quelle degli appaltatori di non perdere la liquidità proveniente dai pagamenti periodici e quelle dei subappaltatori – soggetti estranei al rapporto principale ma esecutori effettivi – di vedersi non esposti alle vicissitudini dell'appaltatore come a comportamenti pretestuosamente dilatori od omissivi rispetto agli obblighi di pagamento.

Il nuovo codice, pur mantenendo anche l'ipotesi del pagamento indiretto, di fatto rende ordinario il pagamento diretto il quale, tuttavia, operativamente non sempre si risolve in un vantaggio per il subappaltatore, atteso che la necessaria ricorrenza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità necessari per la liquidazione potrebbe anche essere proditoriamente ostacolata dall'appaltatore e/o comunque potrebbero insorgere discussioni e relativi scontri d'interessi su previsioni di dubbia chiarezza quale quella su quando il contratto consenta il pagamento diretto( art 105 comma 13 lett. c).

Sotto altro profilo merita anche far cenno al fatto che con il nuovo Codice potrebbe anche riaprirsi, questa volta con un chiaro vantaggio per il subappaltatore, la vexata questio della natura giuridica del pagamento diretto.
Nella vigenza dell'art. 118, co. 3, del D.Lgs. 163/2006 si era aperto dibattito se ricondurre l'istituto alla figura della delegazione di pagamento ex lege o a quella dell'accollo, anche se l'orientamento dominante, sostenuto anche dall'Autorità, era quello di ricondurre il pagamento diretto entro lo schema della “delegazione di pagamento ex lege tra l'appaltatore, il subappaltatore e la stazione appaltante”.
L'importante conseguenza era che non sorgesse, pertanto, un autonomo rapporto obbligatorio tra il subappaltatore e la stazione appaltante, ma quest'ultima, pagando, estingueva anche l'obbligazione dell'appaltatore nei confronti del subappaltatore.
Nella vigenza del nuovo Codice, se si pone mente al combinato disposto del comma 1 dell'art. 105 e del comma 1 lett. d) n. 3 dell'art. 106, può prospettarsi l'ipotesi che il rapporto possa invece essere inquadrato entro lo schema della cessione parziale (così peraltro valorizzando l'espressione «..l'amministrazione aggiudicatrice trasferisca i pagamenti dovuti direttamente al subappaltatore» di cui alla Direttiva 2014/24 UE).
Non si vede infatti a quale altra ipotesi possa far riferimento concretamente il comma 1 lett. d) n.3: «nel caso in cui l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei suoi subappaltatori», se non a quella del pagamento diretto.
Ora, se fosse corretta questa prospettazione, si realizzerebbe una vera e propria sostituzione del soggetto passivo dell'obbligazione di pagamento, con conseguenti importanti vantaggi in termini di tutela del credito del subappaltatore.
Non solo infatti lo legittimerebbe ad una azione diretta nei confronti del Committente ma anche nell'ambito di un'eventuale procedura fallimentare liquidatoria il pagamento diretto del Committente non dovrebbe più tener conto del problema della «par condicio creditorum». E infatti in una prospettiva di cessione parziale, il rapporto credito e debito intercorrerebbe direttamente tra Committente e subappaltatore per cui le somme di cui al pagamento non potranno mai essere versate al curatore per farle distribuire secondo le leggi del concorso, con ciò superandosi alla radice la questione della natura prededucibile o meno dei crediti del subappaltatore.

Criticità nel settore delle concessioni
Elementi di criticità si rinvengono pure relativamente alla disciplina del subappalto nel settore delle concessioni di cui all'art. 174 del nuovo codice
Si tratta di un'assoluta novità dal momento che non solo nel vecchio Codice, come nelle vecchie direttive, la fattispecie non era contemplata, ma addirittura risultava discussa la stessa automatica applicazione dell'art. 118 del D.Lgs 163/2006, sul presupposto che i Concessionari non «soggiacevano espressamente ai limiti previsti dal Codice dei Contratti pubblici in materia di subappalto» (AVCP Parere 25/2012 del 20/12/2012).
In realtà, a ben vedere, la questione riguardava il rapporto stesso tra appalto e subappalto nel settore delle concessioni.
Ed infatti i Concessionari erano considerati Amministrazioni aggiudicatrici – status a cui conseguiva il rispetto delle norme del Codice in materia di affidamento, seppur solo parzialmente – per cui i loro contratti di affidamento a terzi avevano l'attitudine ad essere ritenuti “appalti” piuttosto che subappalti.

Nondimeno, un certo risalente indirizzo non riteneva invece il subappalto ontologicamente incompatibile con la concessione atteso che lo stesso “riguarda lavori in cui il concessionario assume la veste di appaltatore» (Tar Campania 27/09/2004 n. 12590).
Il profilo è rimasto uno dei punti controversi della vecchia disciplina determinando, nella pratica, l'adozione di diverse opzioni operative.

Una prassi diffusa, valorizzando il riferimento alle “veste d'imprenditore” di cui alla citata sentenza, individuava nell'eventuale costituzione da parte dell'aggiudicatario della concessione di una Spv – che subentrava a titolo originario nel contratto di concessione, diventando così il concessionario – l'elemento idoneo a differenziare più o meno nettamente le due ipotesi: eventuali affidamenti a terzi sottoscritti direttamente dalla Spv erano da ritenersi dei veri e propri “appalti” mentre gli affidamenti del socio o dei soci realizzatori costituivano invece dei meri subappalti. Ne conseguiva che solo i primi soggiacevano alle norme sugli affidamenti dei concessionari, mentre i secondi alle sole condizioni di cui all'art 118.
La questione è comunque destinata a riproporsi anche nella vigenza del nuovo Codice, ed anzi si può dire che il nuovo quadro regolatorio rende ancora più articolata la questione considerando che i Concessionari continuano ad essere stazioni appaltanti e che la ricorrenza del subappalto in materia non può più essere revocata in dubbio considerata la chiara previsione dell'art. 174.

Il comma 2 dell'art 174 nel momento in cui impone agli operatori economici di indicare “le parti del contratto di concessione che si intendono subappaltare” sembra chiaramente alludere al contratto principale, con la conseguenza che il subappalto viene fatalmente ad identificarsi con il subaffidamento di una parte delle prestazioni previste in concessione.
Ora, in linea di principio, questa esplicita previsione di sub concessione pone una questione di fondo, che si articola in termini specularmente opposti a prima, suscitando il dubbio se nel nuovo regime sia ancora possibile configurare appalti con riguardo gli affidamenti a terzi da parte dei concessionari.

Ora una siffatta conclusione, perlomeno con riguardo alle concessioni di lavori, sarebbe in chiaro contrasto innanzitutto con le previsioni dell'art. 164, comma 4, che è chiaro nel dire che i concessionari applicano le disposizioni del presente Codice, per l'affidamento degli appalti.

Ma un mancato raccordo ci sarebbe anche con l'art. 177 che prevede per i concessionari pubblici e privati, titolari al momento della entrata in vigore del Codice di una concessione di lavori, di servizi pubblici o di forniture, non affidate con la finanza di progetto o procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'UE, l'obbligo di affidare l'80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 €, mediante procedura ad evidenza pubblica (60% per i concessionari autostradali).
Come può arguirsi la questione è tutt'altro che risolta, emergendo all'opposto una vasta “area grigia” d'incertezza nella quale gli operatori economici dovranno continuare ancora a districarsi, sotto la minaccia di severe conseguenze penali in caso di errori interpretativi.

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