Abuso edilizio, più difficile «sanare» dopo l'annullamento del permesso
La Plenaria di Palazzo Spada: l'articolo 38 del Tue vale solo per vizi formali procedurali non rimovibili
Palazzo Spada chiarisce i limiti che consentono alle amministrazioni di sanare di fatto un abuso risultante da un intervento eseguito in base a titolo edilizio annullato dal giudice, secondo quanto prevede l'articolo 38 del testo unico edilizia, con la conseguenza di ridimensionare gli effetti di un orientamento giurisprudenziale "estensivo" anche favorito dal fatto che il legislatore non ha «chiarito cosa debba intendersi per "vizi delle procedure amministrative" e per "impossibilità" di riduzione in pristino"».
A indicare il nuovo e univoco paradigma giurisprudenziale - in luogo di tre diversi orientamenti rintracciati dai giudici rimettenti - è l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n.17/2020 appena pubblicata. Il fuoco della novità sta nell'affermazione della Plenaria secondo cui i «vizi delle procedure amministrative» citati dall'articolo 38 del 380 «sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall'amministrazione, risultino di impossibile rimozione». Con la conseguenza di escludere anche i vizi sostanziali, la cui inclusione nella definizione di "vizi di procedure" consentiva di fatto alle amministrazioni - in virtù appunto di un orientamento giurisprudenziale estensivo - di equiparare la sanatoria di un immobile realizzato senza titolo (ferme restando le altre condizioni) a un immobile realizzato con titolo rilasciato ma poi annullato.
Il fatto e il «dubbio esegetico» del secondo giudice
Il caso prende le mosse da un articolato contenzioso che ha visto un comune (Livigno) concedere il permesso di costruire per un intervento di costruzione consistente nella demolizione di un manufatto abito a stalla e fienile, e successiva ricostruzione in un'altra area, con contestuale trasformazione a residenza e ampliamento, in parte interrato. L'atto del comune è stato impugnato da terzi al Tar Lombardia che ha accolto il ricorso, annullando l'atto. Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione, non accogliendo l'appello del comune. Conseguentemente l'ente locale ha emesso ordinanza di demolizione per la parte nuova della realizzazione, ma per la parte preesistente del manufatto ha disposto la sanzione pecuniaria ex articolo 38. L'atto è stato doppiamente impugnato al Tar. Il proprietario ha inteso salvare - condonando - l'intero manufatto; il terzo ha ribadito la richiesta di totale demolizione. Il Tar ha accolto pienamente il ricorso di quest'ultimo, deliberando la demolizione totale del manufatto. Da qui l'appello al Consiglio di Stato da parte del proprietario. La IV sezione, con l'ordinanza n.1735 del marzo scorso, ha rimesso la questione alla Plenaria, per aver riscontrato il seguente «dubbio esegetico»: «se dinanzi all'annullamento in sede giurisdizionale del permesso di costruire, a cagione della sussistenza di un vizio sostanziale non emendabile, come sarebbe quello ricorrente nel caso di specie, l'art. 38 del Testo Unico edilizia consenta, o meno, all'amministrazione di imporre la sola sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, con effetti equivalenti al conseguimento del permesso di costruire in sanatoria».
Tre diversi orientamenti giurisprudenziali
Come si diceva, nell'ordinanza di rimessione, si riassumono sul punto, tre diversi indirizzi giurisprudenziali: uno più "permissivo" e recente; uno più risalente e fortemente restrittivo; un terzo orientamento che si colloca in posizione mediana fra i due. Più in dettaglio: in base al primo orientamento (quello estensivo) «la fiscalizzazione dell'abuso sarebbe possibile per ogni tipologia dell'abuso stesso, ossia a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all'annullamento dell'originario titolo, secondo una logica che considera l'istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva».
In base al secondo orientamento (restrittivo), «la fiscalizzazione dell'abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali emendabili, mentre in ogni altro caso l'amministrazione dovrebbe senz'altro procedere a ordinare la rimessione in pristino, con esclusione della logica del condono».
Infine, il terzo orientamento giurisprudenziale (mediano) ritiene «possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall'accertamento di conformità di cui all'art. 36 dello stesso T.U. 380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la "doppia conformità"».
L'argomentazione della Plenaria
Preliminarmente, i giudici della Plenaria precisano che la disposizione del testo unico edilizia «è presidiata da due condizioni: a) la prima è la motivata valutazione circa l'impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative; b) la seconda è la motivata valutazione circa l'impossibilità di restituzione in pristino». «Entrambe le condizioni - si osserva - sono invero declinate in modo generico dal legislatore, non avendo quest'ultimo chiarito cosa debba intendersi per "vizi delle procedure amministrative" e per "impossibilità" di riduzione in pristino"».
I giudici si concentrano sul primo aspetto, riconoscendo che la giurisprudenza ha «in alcuni casi sostenuto che nei "vizi della procedura" possano sussumersi tutti quelli potenzialmente in grado di invalidare il provvedimento, siano essi relativi alla forma e al procedimento, siano essi invece relativi alla conformità del provvedimento finale rispetto alle previsioni edilizie e urbanistiche disciplinati l'edificazione». «Secondo questo ormai nutrito filone giurisprudenziale, la fiscalizzazione dell'abuso prescinderebbe dalla tipologia del vizio (procedurale o sostanziale) avendo il legislatore affidato l'eccezionale percorribilità della sanatoria pecuniaria alla valutazione discrezionale dell'amministrazione, in esecuzione di un potere che affonda le sue radici e la sua legittimazione nell'esigenza di tutelare l'affidamento del privato. In questa chiave di lettura è la "motivata valutazione" fornita dall'amministrazione l'unico elemento sul quale il sindacato del giudice amministrativo dovrebbe concentrarsi».
Le conclusioni
La plenaria si discosta da questo orientamento e arriva a conclusioni ben diverse e, appunto, più restrittive, interpretandole come più aderenti allo spirito della norma: «il sindacato del giudice chiamato a vagliare la legittimità della operata fiscalizzazione dell'abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. La "motivata valutazione" dell'amministrazione infatti afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell'art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell'intero impianto dell'art. 38 (e non solo dell'opzione della fiscalizzazione)». Con il conforto di alcuni principi affermati dalla Corte costituzionale (sentenza 209/2010) e dalla gurisprudenza comunitaria (EDU, 21/4/2016 Ivanova vs. Bulgaria) si arriva alla conclusione che «i vizi cui fa riferimento l'art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall'amministrazione, risultino di impossibile rimozione».
Pertanto, la IV Sezione, «dovrà fare applicazione del principio appena enunciato, e ove - come appare evidente dalla disamina degli atti - ritenesse che i vizi del titolo a suo tempo rilasciato, che ne hanno provocato l'annullamento in sede giurisdizionale, siano relativi all'insanabile contrasto del provvedimento autorizzativo con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica, escludere l'applicabilità del regime di fiscalizzazione dell'abuso in ragione delle non rimovibilità del vizio».