Accesso agli atti, stop alle credenziali passepartout per i consiglieri regionali
L'attività amministrativa della giunta è soggetta al controllo politico, non amministrativo, del consiglio regionale. Al consiglio regionale compete la funzione legislativa e di controllo politico non quella di direzione dell'amministrazione regionale, propria invece della responsabilità istituzionale della giunta regionale e del presidente.
Consentire ai consiglieri regionali di accedere a discrezione, in maniera costante e immediata, all'intera massa degli atti e dei documenti amministrativi per mezzo di credenziali al sistema informativo in uso agli uffici, può comportare una seria «alterazione», di fatto, della stessa forma di governo regionale. Si assisterebbe, ha precisato il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3345/2020, a uno sbilanciamento del sistema dei pesi e contrappesi, il «Balance of Power», insito nell'imprescindibile separazione dei poteri, base dello Stato di diritto e della nostra democrazia costituzionale.
La vicenda
Un gruppo consiliare ha formulato la richiesta di autorizzazione all'accesso al sistema informativo integrato in uso alla Regione per la gestione di tutte le pratiche relative ai settori dell'amministrazione. Quest'ultima ha respinto la richiesta. Dal che è seguito il ricorso del gruppo consigliare al TAR che è stato rigettato e il successivo appello al Consiglio di Stato.
La decisione
Il fondamento del diritto di accesso del consigliere regionale ha ragione e limite nell'utile esercizio della funzione di componente dell'organo di cui è parte. Sicché il consigliere accede in esplicazione, individuale o collegiale, delle funzioni proprie dell'organo consiliare, e non per «personali» prerogative. È quindi in questi sensi che l'accesso è «libero» e liberamente è consentita, al consigliere regionale, la visione degli atti e l'acquisizione di qualsivoglia informazione o notizia ritenga utile alle proprie funzioni rappresentative.
Non si tratta di un diritto assoluto e senza limiti. A ben vedere la finalizzazione dell'accesso ai documenti in relazione all'espletamento del mandato costituisce il presupposto legittimante, ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere regionale. Necessita quindi che questo «diritto alle informazioni», per essere legittimamente correlato al migliore svolgimento del mandato consiliare, non incida su prerogative e ruoli degli altri organi regionali e che non collida con il principio costituzionale di buon funzionamento e razionalità dell'azione amministrativa.
Tenuta e formazione della documentazione sono proiezione e patrimonio cognitivo della funzione esecutiva, non di quella legislativa o di controllo politico. Equipararle significherebbe confondere le rispettive funzioni. In altre parole consentendo ai consiglieri regionali di accedere a discrezione, in maniera costante e immediata, all'intera massa degli atti e dei documenti amministrativi, verrebbe «deturpato» lo stesso «Balance of Power» insito nella separazione e nell'equilibrio tra i poteri. Contro il disegno costituzionale si perverrebbe di fatto a una forma frankenstein di cogestione dell'attività amministrativa.
E la Costituzione non ha previsto per le Regioni una struttura di governo assembleare, come sarebbe se il patrimonio cognitivo venisse indiscriminatamente condiviso con i consiglieri regionali. L'elettività dei consiglieri regionali neppure fa di ciascuno di loro un organo autonomo, a competenza e conoscenza illimitate, per cui è legittimo concedere l'accesso agli atti solo in relazione a una specifica informazione o interesse rappresentati.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 3345/2020