Fisco e contabilità

Niente canone unico per i fornitori di servizi

Si propone una norma d'interpretazione autentica destinata a creare più problemi

di Pasquale Mirto

Con una serie di emendamenti al decreto fiscale, si interviene nuovamente sul canone unico dovuto dalle società erogatrici di servizi in rete.

La normativa (articolo 1, comma 831, legge 160/2019) prevede, nella sua formulazione attuale, che le occupazioni permanenti del territorio comunale, con cavi e condutture, da chiunque effettuata per la fornitura di servizi di pubblica utilità, quali la distribuzione ed erogazione di energia elettrica, gas, acqua, calore, di servizi di telecomunicazione e radiotelevisivi e di altri servizi a rete, il canone è dovuto dal soggetto titolare dell'atto di concessione dell'occupazione del suolo pubblico e dai soggetti che occupano il suolo pubblico, anche in via mediata, attraverso l'utilizzo materiale delle infrastrutture del soggetto titolare della concessione sulla base del numero delle rispettive utenze, moltiplicate per una tariffa forfettaria variabile da 1 a 1,50 euro, secondo le dimensioni del Comune.

Con l'emendamento 5.92 si propone una norma d'interpretazione autentica della disciplina appena citata, in realtà in modo molto criptico, destinata a creare più problemi di quelli che si intendono risolvere.

L'emendamento prevede che per le occupazioni effettuate nei settori in cui è prevista la separazione tra i soggetti titolari delle infrastrutture e i soggetti che erogano i servizi alla clientela finale, quest'ultimi non siano tenuti a corrispondere il canone unico, in quanto non si configura «alcuna occupazione mediata ed alcun utilizzo materiale delle infrastrutture da parte delle società di vendita».

Viene da chiedersi, allora, da dove passa il gas, l'acqua o l'energia elettrica che arriva al cliente finale.

Comunque sia, in tale evenienza il canone è dovuto solo dal titolare dell'atto di concessione delle infrastrutture, però sulla base delle utenze delle società di vendita.

In realtà, non si comprende, in caso di omesso/parziale versamento, come possa il Comune imputare al concessionario una violazione relativa all'eventuale mancata (o infedele) comunicazione del numero delle utenze da parte delle società di vendita.

Ancor più criptica è la seconda parte dell'emendamento 5.92, con la quale si precisa che per occupazioni con impianti direttamente funzionali all'erogazione del servizio a rete devono intendersi anche quelle effettuate dalle aziende esercenti attività strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità. Per tali occupazioni è dovuto un canone fisso di 800 euro.

La formulazione proposta, in realtà non ha alcuna valenza interpretativa, ma mira a intercettare quelle sentenze di Corte di cassazione che hanno ritenuto applicabile, per queste occupazioni, il regime ordinario e non quello forfettario sulla base degli utenti (n. 23257/2020).

La formulazione dell'emendamento tuttavia non è cristallina e potrebbe essere letta anche nel senso che qualsiasi occupazione funzionale all'erogazione dei servizi di rete sia soggetta al canone fisso di 800 euro. Quindi, la lettura combinata delle lettere a) e b) dell'emendamento 5.92 potrebbe portare a ritenere che il concessionario per le occupazioni permanenti, non avendo propri clienti finali, ma effettuando un'occupazione funzionale all'erogazione del servizio in rete, sia sempre e comunque tenuto al pagamento del canone fisso di 800 euro.

È facile immaginare il contenzioso che sarà generato dalla norma d'interpretazione proposta con l'emendamento in commento.

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