Appalti

Appalti, 23 miliardi pronti a partire dalla fase post Covid

di Giorgio Santilli

È quasi una nota metodologica quella scritta dall’Autorità anticorruzione (Anac) a margine dei dati statistici che evidenziano un buco di 19 miliardi registrato dagli appalti nel primo quadrimestre rispetto al 2019 (-33,6%). Una nota per dire che il 2020 potrebbe andare molto meno peggio di questa fotografia drammatica scattata ancora in corsa. Eppure, in quella nota a margine c’è una notizia vera: ci sono 22mila procedure, per un importo complessivo di 23 miliardi, che sono in attesa di partire: «non sono ancora state perfezionate (ovvero non è stato pubblicato il bando o la lettera di invito)» ma presentano un «tasso di perfezionamento delle procedure che si aggira attorno al 90%».

Notizia tanto più ghiotta perché gran parte di queste procedure finiranno ad alimentare la fase post-Covid governata, quanto a regole, dal decreto semplificazioni. Benzina per la «fase 3» lanciata dal governo e per il decollo del decreto semplificazioni, che, va evidenziato, all’Anac continua a non piacere.

Non piace affatto al presidente Francesco Merloni, che ieri ha tenuto la relazione annuale al Parlamento di fronte al presidente della Camera Roberto Fico, soprattutto l’idea che la deroga al codice appalti e alle procedure ordinarie faccia funzionare il settore, tanto più se incarnata dalla figura dei commissari.

«Sembrano riaffacciarsi - ha detto Merloni - in questi giorni ipotesi rischiose come quelle di un largo utilizzo dei supercommissari, del “modello Genova” per alcuni appalti sopra soglia, con amplissime deroghe, e l’affidamento diretto fino a 150.000 euro senza alcuna consultazione delle imprese. Non è togliendo le regole che il sistema funziona meglio. Al contrario - ha continuato Merloni - le deroghe indiscriminate creano confusione e le imprese non hanno punti di riferimento e si rischia di favorire la corruzione e la paralisi amministrativa».

Un allarme pesante, come quello sul ruolo dell’Anac. «Dietro consensi di facciata - ha detto Merloni - abbiamo registrato resistenze, spesso silenziose e tenaci, accompagnate da tentativi di dipingere l’Autorità per quello che non è mai stata e si è sempre sforzata di non essere, come un intralcio o un produttore di nuovi vincoli, solo perché presente e attiva. Le resistenze restano. Né si può immaginare un cambiamento immediato della cultura amministrativa». Merloni ha anche stigmatizzato chi giudica «la normativa anticorruzione come un inutile aggravio, è un giudizio estremamente pericoloso».

Allarme anche sull’aggravarsi - complice anche l’emergenza Covid - del fenomeno della corruzione che - ha detto Merloni - «è in continuo aumento. Nel 2019 - ha continuato il presidente Anac - sono stati comunicati 633 provvedimenti di interdittiva antimafia, contro i 573 del 2018, il 10% in più, e dal 2015 siamo circa a 2.600. Il dato è molto preoccupante perché le organizzazioni criminali ricorrono sempre più spesso a sistemi corruttivi per raggiungere i loro scopi, approfittando anche delle situazioni emergenziali come quella in corso, con effetti devastanti sul sistema economico e sulle imprese sane, già pesantemente colpite dalla crisi».

I numeri dell’Autorità anticorruzione sul crollo del primo quadrimestre (bisogna ricordare che qui non ci sono solo i numeri delle gare ma anche il monitoraggio degli affidamenti diretti) vanno letti anche in chiave settoriale e territoriale. Il colpo più duro l’ha accusato il settore delle forniture: la riduzione dei primi quattro mesi dell’anno è stata del 54,3% contro il 13,7% dei lavori e il 18% dei servizi. A grandi linee, l’industria soffre quindi più del mondo dell’edilizia e di quello professionale.

La lettura territoriale evidenzia invece, in termini di importi, un crollo della Lombardia che passa da 1.670 milioni a 1.136 con una riduzione del 62,8 per cento. Seguono il Trentino (-51,1%), il Molise (-50,1%) e la Sicilia (-45,5%) mentre soltanto tre regioni fanno registrare un dato positivo: la Val d’Aosta (+59,1%), il Lazio (+ 13,8%) e la Sardegna (+13,6%) mentre la Calabria resta più o meno ai livelli del 2019.

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