Appalti

Appalti, la Consulta difende la norma (del vecchio codice) sul limite del 20% per le riserve

La Corte: l'articolo 240-bis del 163/2006 non è incostituzionale. Resta non chiaro il ricorso all'accordo bonario

di Monica Lauro

Con la sentenza n. 109 del 27 maggio 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 240-bis, comma 1, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i., nella parte in cui prevede che «l'importo complessivo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al venti per cento dell'importo contrattuale», precisando, altresì, che entro tale soglia «qualunque pretesa dell'appaltatore può essere riconosciuta, in via bonaria o previo accertamento giudiziale», mentre «oltre tale limite legale è certamente inibito accedere all'accordo bonario», residuando le azioni giudiziarie che non risultano precluse, venendo semmai «lievemente potenziato il rischio contrattuale».

Il fatto
La pronuncia trae origine dall'ordinanza n. 171 del 13 maggio 2019 con la quale il Tribunale ordinario di Lecco ha rimesso alla Corte Costituzionale alcune questioni di legittimità costituzionale del summenzionato art. 240-bis, comma 1, ultimo periodo, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 97, Cost. L'ordinanza, nello specifico, è stata emessa nell'ambito di un contenzioso – non preceduto dal procedimento di accordo bonario di cui all'art. 240 del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. – in cui l'impresa appaltatrice faceva valere riserve iscritte nei registri di contabilità e confermate in sede di sottoscrizione del conto finale per un ammontare complessivo superiore all'80% dell'importo contrattuale.

La Committenza, nel costituirsi in giudizio, eccepiva l'inammissibilità di tali riserve poiché esorbitanti il limite del 20 per cento. Il giudice a quo osservava che, all'esito della consulenza tecnica d'ufficio, le pretese vantate dall'appaltatrice risultavano fondate per una cifra inferiore al venti per cento dell'importo contrattuale, ma che «poiché quanto dovrebbe riconoscersi all'impresa si ricava da riserve registrate dopo che ne erano state iscritte altre per un ammontare che aveva giù raggiunto il limite» del 20% sopra descritto, «risulterebbe preclusa la possibilità di accertare nel merito quelle annotate successivamente al superamento della soglia imposta dalla norma censurata».

Tale interpretazione – ancorché conforme alla lettera della norma e rispettosa delle intenzioni del legislatore – finirebbe però con il dare vita a una «posizione di così smaccato privilegio per la stazione appaltante, alla quale viene consentito di liberarsi dalle proprie responsabilità non solo in caso di eventi sopravvenuti imprevedibili, ma anche in caso di possibili condotte illegittime o inadempienti, tutte indistintamente ricondotte alla categoria del rischio di impresa di cui l'appaltatore dovrebbe farsi carico».

Di qui il dubbio di legittimità costituzionale della disposizione in esame per: (i) contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. in considerazione dello stravolgimento dell'equilibrio negoziale in favore del soggetto pubblico, (ii) contrasto con l'art. 41 Cost. a causa di un'ingiustificata limitazione della libertà d'impresa, (iii) contrasto con l'art. 97 Cost. in virtù di un'immotivata deresponsabilizzazione dei funzionari pubblici, (iv) contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost., atteso che l'omessa formulazione tempestiva delle riserve, ai sensi dell'art. 190 del d.P.R. n. 207/2010 e s.m.i. implica la decadenza dal diritto di far valere, anche in sede giurisdizionale, le domande che ad esse si riferiscono.

Le ragioni poste alla base della decisione della Corte
La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice remittente in virtù delle considerazioni che seguono. I Giudici di legittimità, in particolare, hanno ricordato che, per comprendere le ragioni che hanno indotto il legislatore del 2011 a inserire la norma in esame nel corpo del previgente Codice dei contratti pubblici, occorre considerare che nella prassi applicativa si è registrato, troppo spesso, «un utilizzo improprio dell'istituto delle riserve, al fine di avanzare pretese non giustificate dal regolamento contrattuale o non conformi alle previsioni legali sulle procedure che danno accesso a possibili modifiche dell'originario accordo», con conseguente lesione della concorrenza.

L'introduzione dell'art. 240-bis è servita, dunque, a contrastare tale bad practice (testimoniata anche dall'Avcp nella determinazione n. 5 del 30 maggio 2007), atteso che, all'atto pratico, non era infrequente «l'aggiudicazione di appalti a favore di imprese che, confidando nella possibilità di conseguire, grazie agli accordi bonari, guadagni aggiuntivi e non dovuti, proponessero offerte notevolmente ribassate». Ferma questa premessa, è evidente che si è reso necessario chiarire se la soglia legale del 20% debba intendersi riferita alla possibilità di iscrivere riserve – circostanza questa che limiterebbe l'accesso all'istituto dell'accordo bonario nel limite del 20% delle riserve iscritte dall'appaltatore secondo l'ordine cronologico di iscrizione – ovvero alla possibilità di accordare un riconoscimento, in via bonaria o giudiziale, alle doglianze fatte valere dall'appaltatore, a prescindere dall'ordine cronologico di iscrizione delle riserve.

Laddove si aderisse all'interpretazione propugnata dal giudice a quo, la norma in esame risulterebbe viziata da irragionevolezza. Senonché, all'interno del nostro ordinamento risulta già presente una lettura alternativa, sostenuta da diversi giudici di merito.
Così il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 17666 dell'11 dicembre 2020, ha chiarito che «l'interpretazione più convincente della disposizione in esame è quella secondo la quale il limite del 20% non va riferito all'ammissibilità dell'iscrizione della riserva, intesa quale attribuzione all'appaltatore della legittimazione ad iscrivere riserve solo fino alla concorrenza di un quinto dell'importo contrattuale, bensì all'importo complessivo che in concreto può essere riconosciuto in favore dell'appaltatore».

Considerazioni analoghe sono state espresse dal Tribunale di Milano nella sentenza n. 2207 del 25 marzo 2020 («si ritiene che l'art. 240 bis del D.Lgs. 163/2006 debba essere interpretato in modo conforme alla Costituzione. Ciò impone di considerare il rispetto della soglia del venti per cento prevista da detta norma non quale condizione di ammissibilità della domanda dell'attrice, bensì come il limite per il giudice al momento della quantificazione dell'eventuale importo eventualmente riconosciuto all'appaltatrice, in caso di accoglimento della sua domanda»).

Inoltre, ragioni di carattere sistematico impongono di muoversi nel senso sopra descritto, visto e considerato che vi è la necessità di salvaguardare la corretta e regolare esecuzione dei contratti a beneficio della stazione appaltante stessa e considerato, altresì, che «se l'impresa appaltatrice, dopo aver annotato riserve per il venti per cento dell'importo contrattuale, perdesse automaticamente la possibilità di avanzare pretese subordinate alla loro iscrizione in riserva, non avrebbe più alcun interesse a continuare a rispettare il relativo onere».

Spunti di riflessione
La pronuncia in esame, sebbene abbia chiarito la portata della soglia del 20% rispetto alla possibilità di ricorrere ai rimedi giudiziali, non sembra essere riuscita a dipanare del tutto il dubbio interpretativo che ruota attorno al quantum suscettibile di essere definito in sede di accordo bonario, a seguito dell'attivazione del relativo procedimento da parte del Rup.
Difatti, anche nei precedenti giurisprudenziali richiamati dalla Corte Costituzionale, i giudici di merito si sono soffermati sull'ammissibilità della domanda giudiziale avente ad oggetto riserve superiori alla soglia del 20% e non già sulla diversa questione della possibile attivazione del procedimento di accordo bonario nel caso in cui le riserve superino detta soglia.

Sicuramente, in attesa di eventuali pronunce sul tema, l'interpretazione più conforme ai dettami costituzionali indurrebbe a considerare che, anche nel caso di accordo bonario, la soglia in questione debba essere interpretata – al pari di quanto accade quando viene in rilievo un rimedio giudiziale – come limite al riconoscimento delle riserve a favore dell'appaltatore, che avrà dunque la possibilità di sottoporre all'esame della Commissione di accordo bonario l'intero ammontare delle riserve iscritte sino al momento dell'attivazione del procedimento conciliativo.

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