Personale

Assunzione tardiva, il rimborso degli stipendi persi è parziale e l'ulteriore danno va provato

Il risarcimento del danno esistenziale e da perdità di chances non è automatico, va provato

di Pietro Alessio Palumbo

Nel pubblico impiego il risarcimento per il «danno da ritardata assunzione» non può corrispondere integralmente alle retribuzioni perse per la semplice ragione che la vittima del ritardo non ha espletato la prevista attività lavorativa a favore dell'ente pubblico coinvolto. Secondo il Tar Lazio (sentenza n. 6555/2020) il danno va quindi stimato in via equitativa nel 60 per cento delle retribuzioni e all'importo va sottratto il reddito derivante da qualunque altra attività lavorativa svolta nel periodo in questione. Inoltre non sussiste alcun automatismo su asseriti danni da «perdita di chance», all'immagine e persino di natura esistenziale, bisogna documentare le prove.

La vicenda
Un agente penitenziario ha presentato un ricorso al Tar capitolino lamentando la mancata attribuzione dell'anzianità di servizio alla data dei suoi colleghi ammessi al primo corso utile successivo alla pubblicazione della graduatoria di selezione. L'agente ha anche chiesto il risarcimento del danno patrimoniale dovuto al ritardato arruolamento nonché dei correlati danni alle sue aspettative di vita e all'immagine nei confronti di familiari e conoscenti.

La decisione
Il Tar Lazio ha evidenziato che nel caso di ritardata costituzione di un rapporto di impiego non può riconoscersi all'interessato il diritto alla corresponsione delle retribuzioni (integrali) relative al periodo in questione: detto diritto, in ragione della sua natura corrispettiva, presuppone necessariamente l'avvenuto svolgimento dell'attività di servizio.
In altre parole il danno non può identificarsi direttamente nella mancata erogazione delle retribuzioni e della contribuzione al dipendente, perché queste comunque presuppongono l'avvenuto espletamento della prestazione lavorativa, trattandosi di emolumenti che «sinallagmaticamente» richiedono l'avvenuto svolgimento dell'attività di servizio. Quindi, ai fini della quantificazione del danno risarcibile, l'entità della mancata percezione delle retribuzioni costituirà soltanto uno dei criteri di determinazione del ristoro economico.
È necessario individuare l'ammontare del danno sofferto mediante parametri aggiuntivi, di natura equitativa correlati alla gravità della condotta della Pa e alle modalità con cui il richiedente ha «speso» il proprio tempo nel periodo in cui non ha prestato servizio.
La base di calcolo di detta quantificazione è rappresentata dall'ammontare del trattamento economico netto non goduto con esclusione di ogni voce retributiva ulteriore allo stipendio tabellare, in quanto tali voci sono comunque correlate allo svolgimento di quell'attività lavorativa che in effetti non c'è stata.
Ma non è tutto. Questo importo deve essere sottoposto a una percentuale di ulteriore «abbattimento» quantificata equitativamente. Per questa via a giudizio del Tar Lazio il danno da ritardata assunzione può essere quantificato nel 60 per cento della retribuzione, al netto di oneri fiscali e previdenziali, che l'interessato avrebbe potuto percepire ove fosse stato regolarmente assunto e immesso in servizio.
Dall'importo risarcitorio va poi sottratto l'ammontare di qualunque retribuzione percepita nel periodo in esame così come riscontrabile dalle dichiarazioni annuali dei redditi trasmesse all'amministrazione finanziaria.
Infine circa il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno esistenziale non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta della Pa coinvolta. Analogamente al danno da perdita di chance e all'immagine, in quanto voci di «danno-conseguenza», devono essere opportunamente comprovati e circostanziati gli effetti concreti.

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