Amministratori

Aziende speciali, solo i contributi dell'ente proprietario bloccano le indennità agli amministratori

La Sezione della Corte dei conti per il Lazio si sofferma sulla distinzione tra corrispettivo e contributo pubblico

di Stefano Pozzoli

La Sezione di controllo per il Lazio della Corte dei conti, con la deliberazione n. 73/2020 depositata in questi giorni, torna sulla questione dei compensi agli amministratori di azienda speciale, a fronte di un nuovo quesito del Comune di Latina.

Sul tema, si ricorda, la Sezione delle Autonomie, con deliberazione n. 9/2019, si è espressa in ordine all'obbligo della gratuità degli incarichi delle aziende speciali che ricevono contributi dallo Stato (articolo 6, comma 2, del Dl 78/2010), con l'intento di produrre «una pronuncia nomofilattica, anche al fine di prevenire possibili contrasti interpretativi tra Sezioni regionali di controllo» e dando di questa disposizione una lettura innovativa rispetto alle posizioni precedenti espresse dalla giurisprudenza. La Sezione delle Autonomie, in sostanza, ha stabilito che «la gratuità della partecipazione agli organi amministrativi è (…) una misura limitata alla aziende che "vivono" delle risorse dell'ente locale titolare», e che «sono fuori dalla nozione di contribuzione pubblica sia il conferimento da parte dell'Ente locale del fondo di dotazione sia l'erogazione di somme a titolo di contratto di servizio».

Per la Corte dei conti si configurano, dunque, due categorie di aziende speciali, ovvero quelle che vivono, al pari di una società in house di servizi pubblici locali, di corrispettivi, e le aziende che invece dipendono da una contribuzione pubblica priva di una natura sinallagmatica ma finalizzata a sostenerne l'esistenza.

Per le prime trova dunque applicazione la disposizione che altrimenti sarebbe priva di senso, ovvero la norma che prevede la decurtazione dei compensi in caso di perdita per tre esercizi consecutivi nel caso di aziende con affidamento in house (articolo 1, comma 554, della legge 147/2013).

La Sezione per il Lazio si sofferma sulla distinzione tra corrispettivo e contributo pubblico, questione che effettivamente nella deliberazione della Sezione Autonomie era appena accennata, riprendendo in proposito la Corte costituzionale che, nella sentenza n. 161/2012, ha fatto rientrare qualunque beneficio in risorse pubbliche, in grado di incrementare le componenti attive del bilancio dell'ente destinatario o di diminuirne quelle passive. Per la Corte del Lazio, dunque, l'articolo 6, comma 2, deve considerarsi «una norma di stretta interpretazione (…) con la conseguenza che, ove il Legislatore avesse voluto escludere specifici contributi (…) lo avrebbe fatto espressamente». Questo, però, ricorda sempre la Sezione, tenuto conto dei principi espressi dalla Sezione delle Autonomie.

In sostanza la giurisprudenza della Corte dei conti conferma ormai il fatto che la gratuità degli incarichi di amministrazione nelle aziende speciali è circoscritta ai casi in cui i contributi siano quegli degli enti proprietari e non anche i contributi provenienti da altri soggetti pubblici. Orientandosi diversamente, infatti, si arriverebbe al paradosso che gli amministratori di una azienda dovrebbero rinunciare al compenso quando vogliano approfittare di un qualsivoglia contributo pubblico destinato al settore in cui operano, o perfino se volessero utilizzare contributi di natura generale, magari destinati ad incentivare gli investimenti e non strettamente legati alla "vita", intesa come sopravvivenza, della azienda.

Il quadro relativo ai compensi degli amministratori delle aziende speciali si arricchisce dunque di un nuovo tassello, con il quale si chiarisce che le aziende speciali, se svolgono una attività di rilievo economico, non possono né essere guidate «a titolo onorifico» né tanto meno si può pretendere dagli amministratori che. per «meritare un compenso», debbano rinunciare ad una contribuzione pubblica estranea a quella dei propri soci.

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