Imprese

Caro-materiali, l'Ance ricorre al Tar contro il decreto Mims: sottostimati gli aumenti di almeno 15 prodotti

Nel mirino il metodo usato per rilevare i prezzi: «una mera combinazione casuale di numeri»

di Mauro Salerno

Dopo le polemiche arriva anche l'ora della controffensiva legale delle imprese di costruzione contro il provvedimento del ministro delle Infrastrutture che lo scorso novembre ha stabilito gli aumenti medi dei costi dei materiali edili, dando il via a compensazioni che i costruttori hanno da subito bollato come insufficienti e lontane dai reali valori del mercato.

In mancanza di risposte concrete, e con la possibilità di vedere replicare lo stesso meccanismo anche per gli aumenti di costo dei materiali subiti nella seconda parte del 2021, le imprese rappresentate dall'Associazione nazionale costruttori (Ance, assistita dallo studio Satta Romano)), e poi anche i costruttori di impianti aderenti all'Assistal, hanno deciso di portare lo scontro nelle aule di un tribunale, con un doppio ricorso al Tar che mette nel mirino il decreto ministeriale dell'11 novembre 2021, «nella parte in cui, in assenza di criteri univoci di rilevazione e in presenza di dati evidentemente irragionevoli e contraddittori trasmessi da Provveditorati, Unioncamere e Istat, hanno rilevato un aumento percentuale del tutto irragionevole e di gran lunga inferiore all'aumento reale registrato sul mercato – di cui si chiede il riconoscimento» per 15 materiali dei 56 considerati dal provvedimento (lamiere, tubi, nastri, fibre di largo uso nei cantieri). Materiali per cui attaccano le imprese, è stata rilevata «una differenza con gli aumenti percentuali rilevati dal Mims addirittura superiore al 20% e, quindi, oltre ogni ragionevole margine di errore statistico».

Nel ricorso, le imprese passano al setaccio e contestano tutto il lavoro preparatorio compiuto dalla commissione ministeriale che lo scorso novembre ha portato all'elaborazione delle variazioni percentuali considerate nel decreto. Un metodo che il rappresentante dell'Ance presente al tavolo aveva contestato da subito facendo mettere a verbale le enormi differenze di prezzo intercorrenti tra le misurazioni prese per buone dalla commissione e quelle con cui si sono trovate a combattere le imprese sul mercato, esponendole al vento degli extra-costi. Scarti nell'ordine di anche decine di punti percentuali per materiali come il legname, i nastri e la fibre d'acciaio, l'acciaio corten, le tubazioni in acciaio con o senza saldatura. Colpa, secondo i costruttori, di un metodo di rilevazione dei prezzi «lacunoso e disomogeneo», basato sulla media ponderata di dati calcolati da Provveditorati, Unioncamere e Istat.

Per i materiali più sensibili le rilevazioni "ufficiali" ballano parecchio tra di loro. Per esempio, sulle lamiere in acciaio corten il dato aggregato dei Provveditorati indica un aumento percentuale pari al 28,97%, mentre il dato di Unioncamere un aumento del 72,25% (il dato Ance è però del 90,30%), con una forcella del +/- 43,28%. Per i nastri in acciaio per manufatti e per barriere stradali, anche zincati il dato aggregato dei Provveditorati rileva un aumento percentuale pari al 57,01% e Unioncamere un aumento pari invece al 96,56% (vicino a quello Ance del 98%), con una forcella del +/- 39,55%. Quanto alle tubazioni in Pvc rigido Unioncamere indica un aumento del solo 8,26%, a fronte del 34,28% dei Provveditorati (comunque lontano dal 63,20%di Ance), con una forcella del +/- 26,02%. Ancora più singolare il caso dei tubi di rame per impianti idrosanitari: qui il dato di Unioncamere rileva addirittura una diminuzione del prezzo dello 0,38% mentre quello aggregato dei Provveditorati un aumento del 31,83% (il dato Ance è del +39,72%), con una forcella del +/- 32,21%.

«Tali considerevoli divari tra le fonti ministeriali, che si collocano al di fuori di qualsiasi margine ragionevole di errore statistico – attaccano le imprese - sono evidentemente anomali, ancor più alla luce della struttura dei mercati cui si riferiscono, e rendono già di per sé inattendibili i risultati trasfusi nel decreto» bersagliato dal ricorso.

Non solo. Un altro elemento di inattendibilità segnalato dalle imprese discende dalla lacunosità dei dati inviati dai Provveditoriati. Nel ricorso i costruttori evidenziano che « non risulta pervenuta alcuna rilevazione da Puglia, Molise e Basilicata». Altre Regioni, invece, hanno inviato tabelle con nessuna o alcune soltanto delle voci di prezzo. In particolare, nessun dato è stato fornito da Lazio e Sardegna; così come l'Umbria ha rilevato soltanto le variazioni di prezzo di due materiali su 15. Emblematico il caso dell'Emilia-Romagna, che ha registrato, per 10 materiali su 15, una variazione percentuale pari allo 0%, indicando per il 2021 i medesimi prezzi medi del 2020, «che tra l'altro, da un raffronto con le rilevazioni prodotte nell'ambito dell'istruttoria per l'adozione del "decreto prezzi" del 27 marzo 2018, risultano coincidere con quelli del 2016, sicché i prezzi dovrebbero essere bloccati da 6 anni».

Da notare che anche il decreto prezzi del 2018 è stato impugnato dalle imprese, per ragioni del tutto analoghe, con una decisione che potrebbe arrivare nelle prossime settimane.

Contestata anche l'enorme fluttuazione tra i dati forniti dai provveditorati sia in termini di prezzi in valore assoluto che di variazioni percentuali. Nel ricorso, si mette in evidenza come per lo stesso materiale esistano scarti di decine di punti percentuali tra le varie regioni. Un divario «difficilmente giustificabile in relazione alla tipologia dei materiali in questione, ovvero alla struttura dei mercati cui si riferiscono, aventi per natura dinamiche pressoché omogenee sull'intero territorio nazionale». Con la conseguenza « che il Ministero, operando in maniera puramente formalistica e irragionevole sui dati anomali e disomogenei rilevati da Provveditorati, Unioncamere e Istat, ha prodotto una "fotografia" del mercato delle costruzioni disancorata dal reale andamento dei prezzi».

Di qui la richiesta di bocciare il decreto e soprattutto il metodo di rilevazione dei prezzi,di cui le imprese temono la replica per i mesi a seguire (un decreto analogo è in preparazione per individuare i materiali che hanno subito variazioni di prezzo superiori all'8% nel secondo semestre del 2021) perché, è la dura conclusione dei costruttori, un simile provvedimento «finisce con l'essere non un accertamento di fatto, bensì una mera combinazione casuale di numeri».

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