Il CommentoPersonale

Chi paga per gli errori di reclutamento nella Pa?

di Marco Carlomagno (*)

Gli esperti di organizzazione sanno bene che non vi è nulla di più incerto dell'attività di reclutamento. Il rischio di selezione avversa è sempre presente e, per quanto gli studi scientifici sulla materia abbiano fatto passi da gigante, purtroppo l'errore è dietro l'angolo.

Le asimmetrie informative tra domanda e offerta di lavoro portano a tutt'oggi la maggior parte delle aziende a coprire i posti vacanti mediante il ricorso a canali informali.

Come è noto, però, nell'impiego pubblico si accede mediante pubblici concorsi; converrebbe quindi scegliere con attenzione i requisiti, e regolarsi di conseguenza riguardo le selezioni da effettuare. Da qualche anno la Flp propone, ad esempio, di utilizzare nelle selezioni per il pubblico impiego – sia dall'esterno che dall'interno – oltre ai titoli di studio, anche i più avanzati metodi reputazionali, scegliendo i certificatori delle competenze acquisite e validando le stesse anche mediante blockchain (utilizzando i cosiddetti badgechain).

Ciò che davvero è insostenibile nel 2021 è invece l'improvvisazione totale. Facciamo qualche esempio: all'ultimo, sbandieratissimo, concorso per il Sud del ministero per la Pubblica amministrazione, per 2.800 posti messi a concorso vi sarebbero soltanto 1.483 idonei.

In realtà le cose vanno anche peggio: per la figura di funzionario amministrativo-giuridico ci sono 765 idonei per 169 posti, mentre per i posti di funzionario esperto in gestione, rendicontazione e controllo vi sono 196 idonei su 918 posti disponibili, con un tasso di scopertura pari al 78,6%; per il posto di funzionario esperto tecnico sono risultati idonei in 167 a fronte di 1.412 posti disponibili, con un tasso di scopertura superiore all'88%.

Non è il destino cinico e baro ad aver prodotto questa situazione, bensì una serie di incredibili errori di selezione seguiti, anziché da una riapertura dei bandi di concorso, da decisioni incomprensibili con danni conseguenti che la Flp aveva provveduto per tempo a segnalare.

E non è finita qui, perché se Atene piange, Sparta di certo non ride: è in corso, infatti, un pluri-pubblicizzato (finanche con spot televisivi) concorso presso l'agenzia delle Dogane e dei Monopoli; per il suo svolgimento l'Agenzia ha provveduto a pubblicare una banca dati di 5.000 test dai quali sarebbero stati poi scelti quelli da somministrare come prova concorsuale. Pochi giorni prima delle prove, però, la stessa Agenzia ha provveduto a segnalare che circa il 20 per cento dei quesiti erano sbagliati. Chi ha fatto controlli più approfonditi giura che i test errati sarebbero addirittura il doppio.

Non molto meglio è andata al Comune di Roma, dove 1.500 persone che si sono presentate per il "concorsone" - così era stato ribattezzato - sono state rimandate a casa dopo che un candidato ha scoperto che uno dei quiz, elaborati dal Formez, era errato. I candidati, taluni provenienti da località molto lontane dalla capitale, starebbero avanzando richieste di risarcimento danni per le spese sostenute.

E veniamo al vero problema: chi paga i danni di errori così marchiani? Temiamo che alla fine non pagherà nessuno, e sarebbe una vera catastrofe. Infatti i pubblici concorsi, che già non godono di grande fiducia da parte dei cittadini laddove vengono organizzati con tanta superficialità, espongono le amministrazioni non solo ad un danno di immagine (difficilmente quantificabile), ma anche ad una perdita reputazionale, che ha conseguenze spaventose sul rapporto tra lo Stato e i cittadini. Per non parlare, ovviamente, dei danni materiali.

È certo che vi sono responsabilità diffuse, non addebitabili, almeno non direttamente, al Ministro della Pubblica amministrazione (che non ha però voluto tenere conto di quanto ampiamente previsto dagli stakeholder interni), al Direttore dell'agenzia delle Dogane e dei Monopoli o al sindaco di Roma. Né si vuole suggerire di trovare dei capri espiatori che paghino per tutti.

I problemi da risolvere però restano e sono di due tipi: il primo è relativo ai mancati controlli sulla qualità del lavoro svolto dalle aziende alle quali vengono affidate le selezioni; il secondo, più grave, è il cosiddetto «pensiero di gruppo», che regna nelle pubbliche amministrazioni.

Mi spiego meglio: chi entra a far parte di un gruppo di lavoro o dell'entourage di un ministro tende, un po' per non contraddire i propri capi, molto per continuare a far parte di quel gruppo di potere o di comunanza di interessi leciti, a non parlare anche quando gli errori che si stanno facendo sono palesi. E purtroppo la politica continua a circondarsi, le ultime norme sugli incarichi esterni lo dimostrano, non di persone capaci e dal pensiero libero, bensì di persone fedeli, che non avvertono l'autorità politica di turno o il vertice amministrativo allorquando individuano degli errori, per timore di uscire dai «cerchi magici».

Da che mondo è mondo, però, non si è mai fatta innovazione con gli «yes-man». Solo con la collaborazione di persone competenti e autorevoli si fanno passi avanti e non si rischiano danni inenarrabili di ogni tipo. La pubblica amministrazione non è res nullius ma, appunto, res publica.

C'è speranza che ci si renda conto di ciò e si inizi, finalmente, a organizzarla di conseguenza?

(*) Segretario Generale FLP