Urbanistica

Ciclovie urbane stazioni-Università: Bari moltiplica le risorse, Napoli le snobba

La città campana perde i fondi perché non presenta progetti. Nuova chance per i 137 milioni di euro alle ciclovie

di Massimo Frontera

Nell'ultima ripartizione di fondi per contribuire alla realizzazione di ciclovie urbane non tutte le grandi città sembrano convinte che la mobilità stia cambiando rapidamente e che l'incentivazione della mobilità "dolce" (bici, monopattino) possa togliere pressione al sempre inadeguato - e spesso indecoroso - servizio di trasporto pubblico locale.
In questo senso l'ultima ripartizione di fondi Mims rappresenta un piccolo test. Il ministero guidato da Enrico Giovannini ha messo in palio da tempo (marzo 2021) una piccola quota di fondi per realizzare ciclovie "direttissime" per collegare in alcune grandi città i principali atenei con le stazioni Fs. Un modo semplice ed efficace per realizzare un pezzo di intermodalità sostenibile, principalmente al servizio della popolazione studentesca fuori sede.

I soldi non erano tantissimi - poco più di 4 milioni di euro - ma la platea era molto limitata - sette città universitarie - e l'obiettivo molto ben circoscritto (corridoi ciclabili, già individuati). Il ministero delle Infrastrutture, oltre a dare soldi, ha anche spianato la strada all'iniziativa, siglando un'intesa con Rfi, che si è impegnata a installare impianti di illuminazione e videosorveglianza, segnaletica, rampe, canaline per l'imbarco e lo sbarco delle bici dai treni, aree di sosta e rastrelliere. Il tutto utilizzando i fondi inclusi nel contratto di programma. Ai comuni non restava che mettersi lì, buttare giù un progettino e inviarlo a ministero con la richiesta delle risorse, entro un congruo termine.

La città più premiata dall'iniziale ripartizione di risorse è stata Napoli, con 525mila euro per il collegamento fra l'università Federico II e la stazione di Napoli Porta Garibaldi (1,5 km) più altri 577.500 euro per collegare l'ateneo con la stazione di Napoli Porta Cavour (1,65 km). A seguire le altre città, Padova, Roma, Pisa, Palermo, Milano fino ad arrivare a Bari, con 157.500 euro per i 450 metri che separano l'ateneo dalla stazione centrale.

Ebbene, nel decreto direttoriale del Mims che si legge sulla Gazzetta dello scorso 20 settembre - che assegna i fondi in base alla presentazione dei progetti - la situazione si è quasi ribaltata. Si apprende infatti che la città di Bari ha presentato una proposta per una cifra molto oltre il limite del suo stanziamento: quasi 500mila euro contro i 157mila assegnati. Valutata la proposta, il ministero ha però deciso di aggiungere al finanziamento l'intera riserva di 342mila euro accantonata per le eventuali integrazioni ai progetti. Così Bari ha portato a casa 490mila euro. La città di Napoli, invece, che aveva ottenuto più di tutti - oltre 1,1 milioni di euro - perde tutto perché non ha fatto «pervenire quanto previsto nei termini». I soldi rientrano al Mims che le manterrà «a disposizione per ulteriori interventi per le medesime finalità» che saranno finanziati in «successivi provvedimenti».

Nuova chance per i 137 milioni di euro per ciclostazioni e ciclovie
Anche altri enti locali dimostrano scarso appeal nei confronti dei fondi statali stanziati per la mobilità dolce. Si ricava da un altro decreto Mims, sempre pubblicato sulla Gazzetta del 20 settembre. Questa volta i fondi in gioco sono molti di più: si tratta dei 135 milioni circa stanziati a ottobre 2020 e poi ripartiti a giugno 2020 per una vasta gamma di interventi a servizio delle piste ciclabili. Ebbene, nel Dm Mims appena pubblicato si apprende che la "Città metropolitana di Cagliari e i Comuni di Cagliari, Palermo, Bolzano, Sassari, Vittoria, Caltanissetta, Benevento, Cuneo, Teramo, Rovigo, Biella, Gorizia,Vibo Valentia, Oristano e Isernia hanno presentato la domanda per l'assegnazione delle risorse oltre il termine».

Poi ci sono altre città che non si sono proprio mosse: le Città metropolitane di Napoli e Palermo e i comuni di Como, Aosta, Verbania e Enna. Il ministero ha deciso di dare a tutti una seconda chance attraverso «una ricognizione circa il permanere dell'interesse da parte dei suddetti enti all'utilizzo delle risorse al fine di valutare la riprogrammazione delle risorse eventualmente non utilizzate». Ai ritardatari si dà tempo fino a 10 giorni a partire dalla comunicazione del ministero dell'avvenuta registrazione del Dm stesso (registrato il 19 agosto scorso).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©