Il Commento Appalti

Codice appalti, per la soluzione stragiudiziale dei conflitti la strada è ancora lunga

Studio della Giustizia amministrativa: il nuovo precontenzioso non risolve i problemi. In Italia «persistenti difficoltà» alla diffusione di efficaci strumenti di <i>Administration dispute resolution</i>

di Massimo Frontera

Nel Codice appalti le possibili soluzioni stragiudiziali per i conflitti che possono insorgere tra committenza e operatore economico non sono efficaci, anche perché nel nostro Paese non si sono ancora affermati gli strumenti presenti in altri ordinamenti. Strumenti che compongono quella che viene definita Administration dispute resolution (Adr), cioè appunto le diverse possibilità di superare le controversie, anche in alternativa alle battaglie in tribunale. Questo, in estrema sintesi, la valutazione contenuta in un testo di approfondimento sul recente codice appalti a cura dell'ufficio studi della Giustizia amministrativa (gli autori sono Francesco Gambato Spisani, Giovanni Tulumello, Ida Raiola, Paolo Nasini, Nicola Durante e Vincenzo Neri). Le 52 pagine pubblicate il 7 giugno sul sito si propongono di valutare, in una "prima lettura" l'impatto sul processo amministrativo del Dlgs 36/2023, in relazione alle novità rispetto alle precedenti norme.

In merito alle misure di composizione stragiudiziale delle liti offerte dal nuovo testo di riferimento per i contratti pubblici, gli autori danno valutazioni molto diverse sul Collegio consultivo tecnico e sul parere di precontenzioso. Nel primo caso, «le alterne vicende che hanno riguardato l'istituto sembrano essere approdate ad una regolamentazione definitiva nel nuovo corpus normativo». Giudizio opposto, invece, per i pareri di precontenzioso, per i quali «la nuova disciplina non sembra aver risolto tutti i profili di criticità che la ricostruzione dell'istituto e la sua applicazione avevano posto nel corso di questi anni».
Come è noto, rispetto al precedente codice, l'istituto del parere è stato modificato.

La novità più vistosa è l'addio all'efficacia vincolante, in caso di adesione delle due parti. Ma si tratta di una modifica che, secondo gli autori, non sposta più di tanto sul piano della concreta capacità di risolvere le liti; soprattutto perché restano irrisolte due questioni legate a questo strumento: la sua compatibilità con il principio di legalità («dal momento che alcuni elementi decisivi di tale disciplina non sono stabiliti dal Codice dei Contratti Pubblici, ma sono dettati da regolamenti dettati dall'Anac medesima»); la sua compatibilità con la divisione dei poteri («visto che è medesimo il soggetto - l'Amministrazione - che definisce le regole da osservare e che è tenuto ad osservare tali regole»). A questo si aggiungono «le difficoltà, testimoniate dai continui rimaneggiamenti dell'istituto registratisi in pochi anni, di fare penetrare nel nostro ordinamento la logica delle Adr, diametralmente opposta rispetto a quella espressa dall'inderogabile termine breve di decadenza per ricorrere in giudizio».

La proposta che invece avvicinerebbe l'Italia a una più adeguata dotazione di Administration dispute resolution, propone lo studio, è lo strumento della mediazione, che per esempio è stato introdotto nel 2012 in Germania e nel 2016 in Francia anche per la soluzione di controversie pubblicistiche. Diversamente dal parere di precontenzioso, la mediazione - come comprensibilmente sottolineano gli autori di Giustizia amministrativa - si svolge all'interno del processo, ma con «una rigida separazione tra fase conciliativa e fase decisoria». «In ordinamenti di civil law diversi dal nostro - insistono gli autori - i mezzi di tutela alternativa previsti in campo pubblicistico sono stati concepiti prevalentemente, anche se non esclusivamente, come rimedi endoprocessuali, rappresentando una sorta di parentesi all'interno di una procedura giurisdizionale già avviata». «Appare significativa - si legge ancora nello studio - la mancata inclusione, tra gli istituti previsti dal nuovo Codice, di un rimedio, quale la mediazione, di ampia e crescente applicazione in ambito civilistico e tributario e che si connota per la sua vocazione a svolgere il ruolo di rimedio alternativo alla giurisdizione di carattere generale».

Un segnale, concludono gli autori, che conferma «le persistenti difficoltà, sia di carattere ordinamentale che di ordine tecnico-pratico, ad accogliere nel sistema della giustizia amministrativa, inteso nell'accezione più lata, tutti quegli istituti che la dottrina suole ricondurre all'ampia categoria delle Adr».