Il CommentoPersonale

Come accompagnare la trasformazione del lavoro pubblico

di Marco Bentivogli

Il nostro Paese da qualche secolo primeggia nelle difficoltà culturali ad accogliere il cambiamento. Figuriamoci ora che, allo scopo di estenderne i vantaggi e minimizzarne i rischi, dovremmo muovere d’anticipo alle grandi trasformazioni. Una, se non la principale, è la grande trasformazione del lavoro: mette in discussione talmente tanti ancoraggi che credevamo immutabili da costringerci a nuovi percorsi.

Come sappiamo, l’innovazione (per fortuna) non chiede il permesso e, se ne siamo capaci, possiamo costruire percorsi per orientare questi processi secondo le finalità che ci prefiggiamo.

In un Paese in cui si confonde lo smart working con il vecchio telelavoro è fondamentale imboccare le strade virtuose del nuovo lavoro, altrimenti i benefici per lavoratrici e lavoratori e imprese tarderanno ad arrivare.

La tecnologia è soltanto uno strumento: senza una nuova cultura organizzativa e del lavoro serve a poco e a nulla.

Libertà e autonomia, ma con maggiore responsabilità sugli obiettivi in un clima di fiducia. Sono quattro parole, ingredienti per una buona ricetta di lavoro intelligente.

La Pubblica amministrazione rappresenta un banco di prova interessante.

Mai generalizzare: ci sono state amministrazioni che, non senza fatica, hanno recuperato ritardi notevoli.

Siccome non ci sono buoni motivi per interrompere o rallentare l’erogazione dei servizi, la sfida è dimostrare che la Pubblica Amministrazione funziona meglio e più rapidamente con una parte di lavoratori in smart working. Come fare?

Non si può non responsabilizzare i dirigenti nella riorganizzazione del lavoro. In questi anni nelle grandi fabbriche il lavoro è cambiato continuamente. Lo stesso deve avvenire nel pubblico e i dirigenti ne devono essere responsabili.

Lo slalom delle responsabilità deve essere una precondizione per impedire l’accesso a ruoli direttivi. Servono linee guida per la contrattazione decentrata che agevolino il rientro alla normalità, quando tornerà obbligatorio l’accordo individuale.

Bisogna mettere in comunicazione le realtà dove le cose sono andate meglio. Alcuni progetti interessanti sono stati realizzati al Mef, all’Agenzia delle entrate e sicuramente altrove. Bisogna avere chiaro dove le cose non hanno funzionato letteralmente.

Non è complicato dare indicazioni sulle cose da fare e quelle da non fare in un processo di innovazione integrale come è il passaggio allo smart working.

Nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale sottoscritto con le organizzazioni sindacali se ne parla e ciò significa che sarà un tema di confronto.

Lo scopo è costruire documenti non iper-prescrittivi, ma linee guida che aiutino, accompagnino questa trasformazione.

Certo, servono premesse anche di carattere tecnologico: avere tutti i dati, la modulistica, gli archivi, non solo digitalizzati, ma su cloud.

Le condizioni di partenza sono arretrate, troppa Pa funziona ancora su carta, chiede carta e ne produce altrettanta, ne immagazzina altrettanta. Montagne inservibili, che rassicurano solo alcuni che ci lavorano.

Le persone vanno rimotivate in parallelo a un’attenzione ai cittadini e alla loro soddisfazione per la qualità e la tempestività dei servizi pubblici.

La comprensione delle difficoltà è sempre cosa saggia, ma non si va da nessuna parte senza una Pubblica amministrazione che recupera efficienza e al contempo motiva su questi obiettivi i lavoratori.

Ricordiamoci sempre che generalizzare aiuta sempre i meno virtuosi. Nella Pubblica amministrazione ci sono gli assenteisti e c’è chi non ha guardato l’orologio, rischiando e perdendo la vita al servizio dello Stato.

Non è accettabile considerarli eroi solo nel momento dell’emotività e poi dimenticarseli e metterli accanto ai furbetti. Non tutti i lavori sono di cura, di prossimità, di sicurezza e la remotizzazione ben costruita consente sia di dare visibilità alla qualità del lavoro espressa da ognuno sia il miglioramento e la modernizzazione del funzionamento dello Stato. Un patto col Sindacato è quanto serve, perché è la strada per condividere responsabilità su obiettivi comuni.

Questo è un buon inizio per riscrivere una nuova narrazione del lavoro pubblico.