Fisco e contabilità

Compensi agli avvocati della Pa: la Corte dei conti traccia il perimetro dei criteri per la ripartizione

Esito favorevole del giudizio, condanna della controparte alle spese e recupero di quanto liquidato dal giudice

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di Corrado Mancini

Gli unici presupposti richiesti dalla norma per la ripartizione dei compensi professionali fra gli avvocati dipendenti da enti pubblici sono: l'esito favorevole del giudizio o di altro procedimento nel quale l'avvocato abbia esercitato il patrocinio per l'ente, dovendosi interpretare il termine "sentenza" in modo atecnico come riferito appunto al presupposto sostanziale richiesto dalla norma e consistente nella pronuncia favorevole per l'ente nel quale esita il giudizio o procedimento, la condanna della controparte alle spese, che rappresenta titolo autonomo rispetto alla pronuncia principale e, in ultimo, l'effettivo recupero a carico della controparte dell'importo liquidato dal giudice a titolo di spese legali. Lo sostengono i magistrati della Corte dei conti sezione regionale per l'Emilia Romagna con la deliberazione n. 15/2022.

La Corte evidenzia come l'articolo 9 del Dl 90/2014 convertito dalla legge 114/2014, disponga, a favore dei legali delle avvocature incardinate nella Pa, il diritto alla percezione dei compensi professionali, sia nella ipotesi del «riscosso» («sentenza favorevole con recupero delle spese legali» recita testualmente il comma 3) sia in quella del cosiddetto «compensato» («pronunciata compensazione integrale delle spese» secondo il comma 6).

Quindi mentre la misura e le modalità di ripartizione dei compensi sono rimesse ai regolamenti dei singoli enti di riferimento e alla disciplina della contrattazione collettiva, i presupposti di esistenza del diritto sono quelli individuati a monte dalla norma primaria. In particolare: a) esistenza di una pronuncia in senso lato contenente un capo accessorio relativo alla condanna della controparte alle spese; b) esito della lite favorevole per la Pa causalmente riconducibile all'attività dell'avvocato dipendente, insito in una pronuncia di riconoscimento delle ragioni dell'ente con condanna della controparte alle spese di lite al di là che la pronuncia rivesta la forma di sentenza, ordinanza, decreto o altra statuizione il cui effetto positivo sia comunque processualmente imputabile, secondo il principio di causalità, all'attività del difensore come può accadere, finanche, nell'ipotesi di «soccombenza virtuale» in cui il giudice dichiari cessata la materia del contendere in quanto la controparte nelle more del giudizio si sia ad esempio spontaneamente conformata alle istanze promosse dal difensore dell'ente e ciononostante residui un contrasto fra le parti solo sulle spese, per la cui statuizione a carico della controparte l'avvocato dell'ente comunque insista, ottenendo ragione; c) recupero effettivo delle spese dalla controparte che è tenuta.

Per la Corte con riferimento alla portata sostanziale del termine "sentenza" riportato nel comma 3 affermano che l'effettivo discrimine fra questo e il successivo comma 6, primo periodo, non risiede nella forma della pronuncia principale quanto, piuttosto, nel provvedimento che statuisce sulle spese e che consiste, nel primo caso, in una condanna che legittima una ripartizione del "riscosso" fra gli avvocati dell'ente e, nel secondo caso, in una compensazione che consente la corresponsione dei compensi ai medesimi avvocati ma nei limiti dello stanziamento previsto (dato che manca un riscosso da recuperare), il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013.

Inoltre sempre in riferimento alla spettanza del compenso agli avvocati dipendenti da enti pubblici nel caso di condanna alle spese con effettivo recupero a carico della controparte, a seguito sia di sentenza sia di altra pronuncia di contenuto favorevole per l'ente i magistrati richiamano oltre alla precedente la giurisprudenza contabile anche la sentenza n. 20957/2004 della Corte di cassazione a Sezioni Unite per la quale «la statuizione relativa alla condanna alle spese, inerendo a posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame è stata adottata, ha i connotati della decisione giurisdizionale e l'attitudine al passaggio in giudicato indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede». Ne consegue che proprio l'autonomia del rapporto obbligatorio nascente dalla condanna alle spese rispetto al provvedimento principale prova che il compenso è da riconoscersi al dipendente-professionista che ha esercitato lo ius postulandi nel procedimento all'esito del quale è stata disposta la condanna, indipendentemente dalla natura della pronuncia stessa.

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