Il CommentoAmministratori

Compensi, controlli, anticorruzione: ora un decreto semplificazioni per le partecipate

di Stefano Pozzoli

Il decreto Semplificazioni ha dato un notevole impulso agli investimenti pubblici (Enti locali & edilizia del 5 febbraio), portando a un sensibile aumento della spesa in conto capitale. Non si vogliono sottovalutare i rischi di un approccio meno prudente sul piano della gestione degli appalti ma, al tempo stesso, va preso atto che non si può pensare di azzerare il rischio corruttivo semplicemente paralizzando gli investimenti e, con essi, il Paese. Bene dunque fare controlli e punire severamente chi commette dei reati.

Però, è necessario, ora come non mai, dare priorità alla modernizzazione del Paese ed alla realizzazione delle infrastrutture, superando la dicotomia tra un regime "ordinario" impossibile e un diffuso ricorso ai commissariamenti, quando proprio si percepisce come necessario raggiungere un qualche obiettivo.

Partendo dunque dal dato di fatto che la semplificazione è la cura necessaria per un Paese immobile, si ritiene che si sia necessario un secondo «Dl Semplificazioni» che, questa volta, riguardi quel pezzo di mondo produttivo che sono le società pubbliche.

In sostanza c'è, a giudizio di chi scrive, la necessità di intervenire sul mondo delle società pubbliche, e in primo luogo sul Testo unico delle società partecipate (Dlgs 175/2016), che sotto alcuni aspetti pecca di farraginosità, a volte di demagogia, e che manca di visione industriale e competitiva.

Ad esempio è indispensabile rivedere le regole di trasparenza e di anticorruzione, che devono trovare una definizione specifica per le imprese, e quindi nel Tusp, perché è necessario superare la semplicistica e grossolana assimilazione delle società pubbliche alla Pubblica amministrazione. Gli effetti di questa scelta portano al paradosso che mentre si invoca efficienza, in realtà si costringono le aziende a sopportare costi e procedure innaturali. È ragionevole pensare che si debba dedicare a queste attività un dirigente quando è noto a tutti che nelle società il numero degli apicali è ridottissimo? Ancora, perché pensare di introdurre nelle aziende il regime dell'anticorruzione quando sarebbe più logico richiedere l'applicazione della "231" (Dlgs 231/2001) disciplina molto più strutturata e idonea al mondo societario, a cui per altro il piano nazionale anticorruzione si ispira, salvo poi arrampicarsi sugli specchi per gestire le presunte differenze.

Ancora, occorre prendere atto che le società, comprese quelle in house, vivono sul mercato e quello che conta sono i risultati e nient'altro che i risultati. Occorre operare perché forniscano servizi a prezzi ragionevoli e si mantengano in equilibrio. E per fare ciò, hanno bisogno di manager adeguati e che, di conseguenza, devono essere remunerati in modo congruo, proprio come accade nelle aziende private. Possiamo continuare a ragionare su compensi cristallizzati al 2013?

Non ci fidiamo delle aziende pubbliche, memori degli abusi che ci sono stati? Cottarelli parlava di costi standard come criterio discriminante, ma se non vogliamo costruire un meccanismo di monitoraggio ciclopico quanto meno affidiamoci ai dati che abbiamo: le società di servizi a rete sono già monitorate dalle Autorità preposte, Arera e Art. E anche per le altre, se rispettano le regole e presentano un utile di esercizio certificato da un revisore indipendente cos'altro si deve pretendere? Premiamo semmai le aggregazioni, perché la crescita dimensionale è necessaria, per raggiungere economie di scala accettabili.

Va bene, piuttosto, essere penalizzanti sulle aziende in perdita, costringendole al risanamento e, nei casi più gravi, al commissariamento. Ma fidiamoci delle aziende sane, lasciandole libere di fare le proprie scelte senza imporre vincoli che nella realtà finiscono solo con il pesare nelle tasche dei cittadini.