Comuni, nel salva conti deroga al tetto Irpef per 4,5 milioni di italiani
Aumenti di almeno il 2 per mille anche oltre i limiti nazionali e addizionale d'imbarco nelle città che firmano il patto per il risanamento<br/>
L’impianto rigido del fisco locale sui redditi si avvicina al quarto di secolo. E comincia a zoppicare in modo vistoso. Nell’attesa eterna del federalismo fiscale, che anche l’ambizione del Pnrr relega alle ultime caselle del cronoprogramma nel 2026, per puntellare i conti delle città in difficoltà si è deciso di andare in deroga. Ha iniziato Roma, quando nel 2010 per evitare il fallimento della Capitale il governo Berlusconi chiuse il vecchio debito del Campidoglio nello scatolone della gestione commissariale da finanziare con la super-addizionale Irpef e la tassa d’imbarco a Fiumicinio e Ciampino. Ma ora quel modello, rimasto unico a lungo, fa scuola. L’ultima legge di bilancio ha permesso di sforare con l’Irpef comunale il tetto nazionale dell’8 per mille a Napoli, Torino, Palermo e Reggio Calabria, le quattro città oggetto dei Patti con il governo per il risanamento dei conti. E nel decreto Aiuti che dopo due consigli dei ministri è ancora in fase di complessa gestazione tecnica e finanziaria l’accoppiata di Irpef in deroga e tassa di imbarco si allarga a tutti i capoluoghi di Provincia che abbiano nei rendiconti del 2020 una delle due caratteristiche seguenti: un deficit superiore ai 500 euro ad abitante o un debito sopra i mille euro pro capite. È un panorama che come mostra la tabella in pagina riguarda almeno 6,5 milioni di italiani, dunque intorno ai 4,5 milioni di contribuenti.
Il doppio parametro
La spinta alle addizionali non è obbligatoria. E non sarà usata da tutti. Ma come sempre nel fisco, e in particolare in quello locale dove la rigidità dei bilanci cresce insieme alle spese che aumentano (basta pensare a quelle di personale gonfiate da rinnovi contrattuali e assunzioni Pnrr) a differenza delle entrate, è importante prima di tutto cogliere una tendenza. Che si può poi sviluppare negli anni.
Il decreto Aiuti, come anticipato sul Sole 24 Ore di mercoledì scorso, estende a tutti i capoluoghi di Provincia il modello dei Patti governativi con le grandi città in crisi pensato dalla manovra per Napoli, Torino, Reggio Calabria e Palermo. Con la differenza, non piccola, che fuori da quei quattro casi iniziali il Patto non potrà poggiare su un finanziamento statale come i 2,67 miliardi in vent’anni messi a disposizione dalla legge di bilancio. Anche perché il decreto Aiuti ha già più di un problema a trovare la quadra delle coperture delle altre misure, e non ha certo gli spazi per un ulteriore aiuto statale ai Comuni in crisi.
Dare e avere
Di quel modello resta però la filosofia di base: più leve per il risanamento dei conti in cambio di più responsabilità per gli amministratori, chiamati a ridurre la spesa corrente e ad aumentare investimenti e capacità di riscossione, ma anche per gli amministrati, che si possono trovare costretti a mettere mano al portafoglio.
I Comuni interessati
Nelle città in cui a essere eccessivo è il deficit, la scelta di firmare l’accordo con il governo per il risanamento dei conti impone di aumentare l’addizionale Irpef di almeno il 2 per mille. Quando il problema è invece rappresentato dal debito superiore ai mille euro ad abitante, la mossa può essere sostitutita (ma anche affiancata) dall’introduzione di un’addizionale sui diritti d’imbarco portuale o aeroportuale di almeno due euro a passeggero.
Fra le città interessate dalla nuova norma, una prima rassegna sui Comuni sede di città metropolitana indica che i livelli di debito maggiori si incontrano a Milano, che con i suoi quasi 3,6 miliardi di debito viaggia poco sopra i 2.550 euro di passivo ad abitante. E dove, però, il quadro strutturale dei conti resta solido nonostante la crisi che ha frenato i dividendi delle partecipate e il gettito di alcuni tributi locali. Milano è anche nel cuore dell’alta norma inserita nel decreto Aiuti, quella che permette di applicare subito al preventivo gli «avanzi» dell’anno precedente e che a Palazzo Marino libera 145 milioni. Appena dietro c’è Genova, dove il debito da 566 milioni vale 1.917 euro ad abitanti: bastano nozioni minime di geografia per capire il possibile interesse del capoluogo ligure per l’addizionale da 2 euro chiesta a chi si imbarca in porti e aeroporti. Il criterio del debito fa rientrare poi nel raggio d’azione della nuova regola anche Firenze (1.339 euro ad abitante), Catania (1.108 euro pro capite) e Venezia (1.040 euro).
Ma se la gravità del debito dipende dal suo rapporto con le entrate strutturali più che con il numero di abitanti, un disavanzo annuale da 500 euro a cittadino è un problema sempre. In questo caso, oltre alle quattro città della manovra la questione riguarda 14 capoluoghi, a partire da Salerno dove lo sbilancio del 2020 è stato da 1.562 euro pro capite, inferiore solo ai record di Napoli e Reggio Calabria, per passare da Chieti, Potenza, Rieti fino a Nuoro, che con i suoi 534 euro di deficit a residente si colloca appena sopra il parametro che accende la spia dell’allarme e apre le porte al piano.