Appalti

Con l'accordo quadro valore della gara indicativo: nessun diritto per l'impresa di ottenere appalti per lo stesso importo

Il Tar Emilia Romagna chiarisce anche che la durata dei singoli contratti esecutivi può superare quella dell'accordo-base

di Roberto Mangani

Nell'ambito dell'Accordo quadro l'indicazione del fabbisogno delle prestazioni da parte delle amministrazioni utilizzatrici durante tutto l'arco temporale di durata dello stesso e, di conseguenza, la determinazione del valore a base di gara hanno natura orientativa e non vincolano le amministrazioni ad utilizzare prestazioni per un ammontare pari a tale valore. Specularmente, l'appaltatore aggiudicatario dell'Accordo quadro non ha alcun diritto a svolgere le prestazioni nella misura presuntiva indicata nello stesso.

Sotto altro profilo, deve considerarsi del tutto legittimo che la durata dei singoli contratti stipulati in esecuzione dell'Accordo quadro possa essere maggiore di quella dell'Accordo medesimo, poiché i due periodi di durata operano sotto profili diversi: il primo indica l'arco temporale massimo entro cui possono essere stipulati i contratti attuativi, il secondo determina l'effettiva durata delle relative prestazioni.

Sono queste le principali affermazioni operate dal Tar Emilia Romagna, Sez. II, 1 ottobre 2021, n. 816, che oltre a fornire interessanti chiavi interpretative sulle concrete modalità di funzionamento dell'Accordo quadro contiene anche una ricognizione dei più rilevanti principi giurisprudenziali relativi all'obbligo di suddivisione in lotti di un appalto unitario.

Il fatto
Un'azienda regionale operante in qualità di centrale di committenza aveva bandito una gara per l'affidamento tramite Accordo quadro dei servizi integrati di lavanoleggio di cui avrebbero dovuto usufruire alcune strutture sanitarie.

Un operatore economico del settore impugnava i documenti di gara lamentando che gli stessi contenevano clausole immediatamente lesive ed escludenti in quanti impedivano l'elaborazione di un'offerta corretta e consapevole e, conseguentemente, rendevano la partecipazione alla gara estremamente difficoltosa.

Tra le censure, quella più rilevante riguardava la determinazione del valore a base di gara. Il ricorrente sosteneva che tale valore era del tutto aleatorio, frutto di una stima presunta che non vincolava in alcun modo le amministrazioni utilizzatrici nei confronti dell'appaltatore titolare dell'Accordo quadro. Altra censura riguardava la mancata suddivisione in lotti da parte dell'ente appaltante, posto che l'appalto nella sua unitarietà aveva una elevatissima dimensione economica e anche operativa. Ciò avrebbe comportato l‘impossibilità di un confronto concorrenziale effettivo.

L'Accordo quadro e il valore a base di gara
Secondo il ricorrente il valore posto a base di gara risultava incongruo anche perché era stato ridotto di una percentuale dell'8% rispetto al precedente affidamento. Questa scelta era da considerarsi illogica e contraddittoria, non permettendo di conseguire il miglior risultato qualità/prezzo e soprattutto impedendo di formulare un'offerta ponderata e consapevole. Rispetto a questa censura l'ente appaltante replicava che il valore indicato era da considerarsi congruo e rispondente a canoni di adeguatezza e ragionevolezza in quanto risultava sostanzialmente allineato con i fabbisogni storici e con la conseguente spesa effettuata dalle amministrazioni utilizzatrici nel periodo immediatamente precedente.

Inoltre, il valore a base di gara trovava riscontro anche nei prezzi di riferimento per i servizi oggetto di affidamento approvati con un atto deliberativo dell'Anac. Rispetto alla censura mossa e alla replica dell'ente appaltante il giudice amministrativo ha operato un'affermazione preliminare dirimente: nell'Accordo quadro l'indicazione del fabbisogno delle amministrazioni aggiudicatrici ha carattere approssimativo in quanto le relative stime sono di carattere orientativo e non vincolano in alcun modo queste ultime a utilizzare le prestazioni in una determinata quantità. Ne consegue che il costo complessivo dell'Accordo quadro non è determinabile a priori, ma discende dalla quantità effettiva degli ordinativi – cioè dei contratti attuativi – che verranno emanati.

Questo principio è pienamente coerente con la natura e le caratteristiche dell'Accordo quadro. La finalità di quest'ultimo infatti è quella di definire le clausole, con particolare riferimento a quelle relative ai prezzi, che si riferiscono agli appalti da stipulare entro il periodo di durata dell'Accordo quadro medesimo, e che verranno conclusi dalle amministrazioni aderenti sulla base dei propri effettivi bisogni. In sostanza, l'Accordo quadro costituisce una sorta di contratto normativo volto a definire i contenuti dei successi contratti attuativi, e in questo senso non produce effetti immediatamente cogenti se non il vincolo delle parti contraenti a negoziare i successivi contratti secondo le clausole in esso contenute. E tali contratti vengono stipulati dalle amministrazioni utilizzatrici in base alle loro concrete esigenze, e quindi in un numero non preventivamente determinabile.

Ne consegue che l'appaltatore non ha alcun diritto ad eseguire le prestazioni in una misura corrispondente al valore dell'Accordo quadro indicato in via presuntiva in sede di gara. Il suo unico diritto è quello di essere il soggetto che eseguirà le prestazioni, essendo risultato aggiudicatario della gara e quindi titolare dell'Accordo quadro e, come tale, unico soggetto legittimato a stipulare i contratti attuativi.

In questa prospettiva l'unico elemento che necessariamente deve essere contenuto nell'Accordo quadro è l'importo massimo delle prestazioni che possono essere richieste dalle amministrazioni utilizzatrici, in quanto ciò risulta necessario per assicurare il rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza. Tali principi implicano che tutte le condizioni della procedura – compresa quella relativa alla determinazione del valore massimo delle prestazioni da porre a base di gara – siano formulate in maniera chiara, univoca e puntuale nella documentazione di gara, così da mettere in condizioni tutti i potenziali offerenti di conoscere esattamente i termini di svolgimento della procedura e conseguentemente di formulare offerte appropriate. In particolare, la fissazione di un importo massimo dell'Accordo quadro è funzionale anche a predeterminare in maniera chiara quale possa essere lo sforzo organizzativo richiesto all'appaltatore e, in questi termini, rappresenta una condizione di legittimità dello stesso.

La durata temporale dell'Accordo quadro e dei contratti attuativi
Sul punto – anch'esso oggetto di contestazione da parte del ricorrente - il giudice amministrativo evidenzia come ogni amministrazione utilizzatrice mantenga la propria autonomia nella definizione dei propri fabbisogni anche sotto il profilo della durata temporale delle prestazioni richieste. Ne consegue che è del tutto fisiologico che vi sia una netta distinzione tra la durata dell'Accordo quadro e l'estensione temporale dei contratti attuativi. Quello che è necessario è che questi ultimi siano stipulati durante il periodo di vigenza dell'Accordo quadro, ma ben possono concludersi anche successivamente alla scadenza del suddetto periodo.

La suddivisione in lotti
Altra censura del ricorrente riguardava la mancata suddivisione in lotti da parte dell'ente committente, che ha optato per un unico appalto. Sul punto il giudice amministrativo ricorda preliminarmente che – per consolidato orientamento giurisprudenziale - l'ente appaltante nella scelta se suddividere un appalto in lotti mantiene un elevato margine di discrezionalità. Ciò detto, evidenzia anche come il favore del legislatore nazionale per la suddivisione in lotti trovi origine nelle previsioni del diritto comunitario, in cui l'istituto viene concepito in funzione proconcorrenziale anche al fine di facilitare la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese. Tuttavia la giurisprudenza nazionale ha ripetutamente affermato che il principio della suddivisione in lotti non può essere considerato assoluto e inderogabile, potendo l'ente appaltante optare per una soluzione diversa – appalto unico – nell'esercizio della sua discrezionalità, purché la scelta sia adeguatamente motivata e tale motivazione non risulti viziata da evidente irragionevolezza.

In sostanza, non vi è un obbligo assoluto di suddivisione in lotti, con la conseguenza che la scelta di procedere attraverso un appalto unico consegue a valutazioni di natura tecnico – economica, esercizio della discrezionalità amministrativa, che possono essere sindacate in sede giurisdizionale solo qualora non rispondano a criteri di proporzionalità e ragionevolezza. E tali valutazioni possono tenere conto non solo dell'interesse alla massima apertura al mercato, ma anche di altri interessi contrapposti sia dell'ente appaltante che degli operatori di mercato diversi dalle piccole e medie imprese. Ciò che rileva ai fini della legittimità della scelta dell'ente appaltante è che l'eventuale opzione di procedere con un appalto unico sia sorretta da adeguata motivazione, cosicché nella documentazione di gara o negli atti presupposti vi sia una chiara indicazione dei motivi – che devono essere congrui e adeguati – per i quali non si è ritenuto opportuno procedere alla suddivisione in lotti.

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