Concessioni (e autostrade), la Consulta cancella i vincoli sugli appalti in house
Dichiarato incostituzionale l'articolo 177 del codice appalti. Per la Corte il principio di liberta di impresa non può essere svuotato, neppure con l'obiettivo di tutelare la concorrenza
Niente più obbligo per i concessionari, incluse le autostrade, di affidare all'esterno la maggiorparte degli appalti. E via anche ai compiti di verifica sul rispetto del vincolo da parte dell'Autorità Anticorruzione. La Corte Costituzionale fa piazza pulita di un castello di norme e di una querelle che si trascina da anni, soprattutto nel mondo autostradale, dividendo società concessionarie e costruttori.
Con una sentenza che certo non passerà inosservata (n. 218/2021, redattrice Daria de Pretis), la Consulta ha stabilito oggi che l'obbligo, a carico dei titolari di concessioni assegnate direttamente (dunque senza gara), di affidare a società esterne l'attività oggetto della concessione – mediante appalto a terzi dell'80% (60% per le concessioni autostradali) dei contratti inerenti la concessione stessa e assegnazione del restante 20% (40% per le autostrade) a società in house o comunque controllate o collegate – costituisce «una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine» di garantire l'apertura al mercato e alla concorrenza.
La sentenza, nata da un contenzioso promosso da A2A contro le linee guida n.11 dell'Anac che si occupano proprio dei controllo sugli appalti in house dei concessionari, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 177 del Codice dei contratti pubblici e dell'articolo 1, comma 1, lettera iii), della relativa legge di delega, perché il perseguimento della finalità sopra detta incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione degli interessi dei soggetti coinvolti, a loro volta protetti dalla garanzia dell'articolo 41 della Costituzione. A sostegno di A2A sono poi intervenute in giudizio anche le associazioni di riferimento dei concessionari autostradali (Aiscat), delle imprese che si occupano degli spazi di sosta (Aipark), Utilitalia e l'associazione Elettricità futura.
La pronuncia ribadisce che il legislatore può intervenire a limitare la libertà d'impresa in funzione della tutela della concorrenza, nello specifico ponendo rimedio, attraverso gli obblighi di esternalizzazione, al vulnus derivante da passati affidamenti diretti, avvenuti al di fuori delle regole del mercato. Tuttavia, «la libertà d'impresa non può subire, nemmeno in ragione del doveroso obiettivo di piena realizzazione dei principi della concorrenza, interventi che ne determinino un radicale svuotamento, come avverrebbe sacrificando completamente la facoltà dell'imprenditore di compiere le scelte organizzative tipiche della stessa attività imprenditoriale».
Obbligo irragionevole
Per i giudici della Consulta «l'irragionevolezza dell'obbligo censurato si collega innanzitutto alle dimensioni del suo oggetto: come detto, la parte più grande delle attività concesse deve essere appaltata a terzi e la modesta percentuale restante non può comunque essere compiuta direttamente. L'impossibilità per l'imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante». Non vale l'osservazione secondo cui «resterebbero comunque garantiti i profitti della concessione, giacché, anche a prescindere da ogni considerazione di merito al riguardo, è evidente che la garanzia della libertà di impresa non investe soltanto la prospettiva del profitto ma attiene anche, e ancor prima, alla libertà di scegliere le attività da intraprendere e le modalità del loro svolgimento».
Non solo. A pesare è anche il fatto che nell'imporre i vincoli all'in house il codice non ha operato alcuna distinzione in merito alla dimensione o ai tempi della concessione. «Un ulteriore indice della irragionevolezza del vincolo- scrivono i giudici - è costituito dalla sua mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, nel ricordato bilanciamento, per l'apprezzamento dello stesso interesse della concorrenza, quali fra gli altri le dimensioni della concessione, apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni , le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l'epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico».
La Corte ha ritenuto che il legislatore, stabilendo un obbligo particolarmente incisivo e ampio, ha omesso di considerare non solo l'interesse dei concessionari ma anche quelli dei concedenti, degli eventuali utenti del servizio e del personale occupato nell'impresa. I concessionari , si legge nella sentenza, «per quanto possano godere tuttora di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, esercitano nondimeno un'attività di impresa per la quale hanno sostenuto investimenti e fatto programmi». Per i giudici i loro interessi, per quanto comprimibili nel bilanciamento con altri ritenuti meritevoli di protezione da parte del legislatore, non possono essere tuttavia completamente ignorati.
Appalti: l'urgenza della riforma
Di qui la dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 177 del codice appalti. Con cui la sentenza apre un nuovo buco nel già fragilissimo tessuto del Dlgs 50/2016. Un codice, che tra norme speciali per il Pnrr, deroghe, semplificazioni e anche quest'ultima pronuncia, è diventato un colabrodo normativo da riformare al più presto.