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Concorsi, per l'anonimato basta il «codice segreto»

Codice a barre e serie alfanumerica, rendono remota la possibilità di abbinare impropriamente nominativo e prova

di Pietro Alessio Palumbo

Le complesse caratteristiche grafiche del «codice segreto» assegnato a ciascun candidato, costituito da un codice a barre e da una serie alfanumerica, rendono del tutto remota la possibilità di una relativa «memorizzazione» in funzione di un successivo, improprio, abbinamento col nominativo del concorrente alla selezione. Questo perché, ha chiarito il Tar Lazio con la sentenza 1915/2021, spesso questo sistema è utilizzato nei concorsi a quiz, tipici di selezioni con elevato numero dei candidati.

Va anche tenuto conto che in simili casi la sorveglianza in aula non è eseguita solo dai commissari d'esame, ma anche dai componenti del comitato di vigilanza, aventi la funzione esclusiva di vigilare sul corretto svolgimento della prova selettiva; restando del tutto estranei alla commissione di selezione e ai pertinenti adempimenti. Ne deriva che la circostanza dell'apposizione del «codice a barre» tanto sulla scheda delle risposte quanto sulla scheda anagrafica, di per sé sola non è sufficiente a integrare una violazione del principio dell'anonimato qualora non ricorrano ulteriori indizi «concreti», tali da poter fondare effettivi dubbi sulla segretezza della procedura concorsuale.

Selezioni a quiz e selezioni per elaborati
La selezione mediante quiz a risposta a scelta multipla, con punteggi predeterminati e correzione immediata tramite sistemi automatizzati, esclude ogni margine di discrezionalità valutativa ed è quindi radicalmente diversa dalla valutazione di stampo comparativo degli elaborati, originali, effettuata dalla commissione di concorso. Dalla diversità tra le due tipologie di selezione, l'una basata su un giudizio discrezionale (sebbene) tecnico, l'altra su un giudizio oggettivo e meccanicamente determinato, discendono due evidenze assolutamente diverse.
Nel primo caso il principio di anonimato deve salvaguardare a priori ogni possibile riconoscimento del candidato, mentre nel secondo, il canone della segretezza deve mirare a prevenire ogni possibilità di scelta nell'assegnazione dei test ai singoli candidati, nonché ogni possibilità di sostituzione o manipolazione del foglio risposte e dell'esito della correzione automatica.
In queste casistiche il principio dell'anonimato non perde di valore e consistenza, piuttosto a ben vedere subisce una «deviazione» del suo oggetto. Le regole di condotta prudenziali si devono essere spostate dagli adempimenti materiali che commissari, operatori e concorrenti sono tenuti ad adottare per evitare l'identificazione dei candidati, alle procedure informatizzate che devono garantire il massimo di sicurezza dell'automazione nella individuazione dei quesiti e nella correzione degli stessi; nonché alle procedure seguite dagli operatori nel momento in cui il foglio risposte sia stato compilato e poi stampato.

La mancata verbalizzazione sulla «custodia» delle prove
Riguardo alla corretta conservazione del materiale concorsuale va infine evidenziato che ogni contestazione volta a ipotizzare una possibile manomissione o «esposizione» dei plichi, idonea a violare la regolarità del procedimento di selezione e in particolare la regola dell'anonimato, non può trovare sostegno nel solo dato formale della mancata verbalizzazione delle modalità di custodia. Qualsivoglia contestazione deve essere suffragata da circostanze ed elementi idonei, sul piano di effettività e di efficienza concreta, a far ritenere che, invero, possa essersi verificata una «alterazione» degli esiti delle prove.

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