Condono, il silenzio-assenso vale solo l'istanza ha i requisiti per essere accolta
Bocciato il ricorso di una proprietaria che aveva frazionato la domanda per rientrare nel limite massimo della volumetria ammessa
Il silenzio assenso, nel caso di condono edilizio, si perfeziona solamente se la domanda ha i requisiti sostanziali per essere accolta. È uno dei motivi per cui il Tar del Lazio (sezione seconda, sentenza numero 2058/2022) ha rigettato un ricorso presentato contro la determinazione dirigenziale del 2014 con cui Roma Capitale aveva respinto la domanda di condono del '95 e un ordine di servizio avente per oggetto «i manufatti privi di tamponature esterne».
La vicenda ha origine quando il ricorrente, per conto della figlia, presenta per l'abuso, che consiste nella realizzazione di un nuovo edificio, due distinte istanze di condono «aventi ad oggetto, ognuna, la metà dell'edificio la cui volumetria complessiva, come prospettato nel gravame, è pari a mc. 783,09 e, quindi, superiore a quella massima condonabile di 750 mc».
Al diniego segue quindi il ricorso al Tar. Tra i motivi del ricorso il nodo tempo. Secondo il ricorrente ci sarebbe una violazione dell'articolo 39 della legge 724/94 in quanto «nella fattispecie sulla domanda di condono si sarebbe formato il silenzio assenso che renderebbe illegittimo il gravato diniego del 14/10/14».
Per i giudici il motivo è infondato. «In materia di condono edilizio il silenzio assenso - scrivono - si perfeziona solo nell'ipotesi in cui la domanda del privato possiede i requisiti sostanziali per il suo accoglimento, tra cui il rispetto del limite di volumetria e la dimostrazione del tempo di ultimazione dei lavori». Facendo poi riferimento al caso specifico i giudici scrivono che «il superamento del limite di volumetria e la mancata ultimazione dell'opera nel termine ultimo previsto dall'art. 39 comma 1 l. n. 724/94 ostano all'accoglimento della domanda di condono e, conseguentemente, alla formazione del silenzio assenso sulla stessa».
Per l'abuso, come risulta dagli atti, vengono presentate «distinte istanze di condono aventi ad oggetto, ognuna, la metà dell'edificio la cui volumetria complessiva, come prospettato nel gravame, è pari a mc. 783,09 e, quindi, superiore a quella massima condonabile di 750 mc. prevista dall'art. 39 comma 1 l. n. 724/94». I giudici evidenziano che «l'opera abusiva va individuata con riferimento all'unitarietà dell'immobile o del complesso immobiliare, qualora realizzato in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione in più unità abitative». Quindi: «Ne deriva che è illegittimo l'inoltro di diverse domande tutte imputabili ad un unico centro sostanziale di interesse e riferibili al medesimo abuso sostanziale, in quanto tale espediente rappresenta un tentativo di aggirare i limiti consentiti per il condono relativamente al calcolo della volumetria consentita».
I giudici amministrativi poi sottolineano che «correttamente il Comune ha valutato unitariamente le due istanze di sanatoria presentate il 27/02/95 e le ha ritenute inammissibili perché il cumulo della volumetria abusiva, oggetto delle stesse, supera il limite volumetrico di 750 mc. previsto dall'art. 39 comma 1 l. n. 724/94». «Né, contrariamente a quanto prospettato nella quarta censura, l'amministrazione avrebbe potuto rilasciare un condono parziale sia perché tale istituto non è previsto dalla normativa di riferimento sia perché un siffatto modus procedendi finirebbe per eludere il limite volumetrico di 750 mc. riferito all'abuso unitariamente considerato». Ricorso respinto.