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Consumo di suolo: ogni secondo persi 4 mq di territorio libero, ma il trend è in frenata

di Giuseppe Latour

Il consumo di suolo, con circa 21.100 chilometri quadrati sottratti ad altri usi, resta un fenomeno preoccupante, ma la notizia è che, nel corso degli ultimi anni, è in netto calo. L'aumento di 250 chilometri tra il 2013 e il 2015, infatti, rappresenta una frenata rispetto alle tendenze del periodo precedente. È quanto emerge dalla lettura del monitoraggio che l'Ispra ha presentato ieri, nel corso della giornata dedicata a Roma al tema del consumo di suolo. Ai lavori ha contribuito anche il Cresme, che ha sottolineato il peso preponderante che le grandi infrastrutture hanno sul fenomeno. Mentre dagli architetti arriva l'invito a costituire un'unità di missione dedicata a questo tema.

I dati dell'Ispra danno la misura generale del fenomeno. Il consumo di suolo in Italia anche nel 2015 cresce, ma a un ritmo ridotto rispetto al passato: tra il 2013 e il 2015 le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 250 chilometri quadrati di territorio, ovvero in media circa 35 ettari al giorno o 4 metri quadrati al secondo. «Dopo aver toccato anche gli 8 metri quadrati al secondo degli anni 2000 – spiegano dall'Istituto -, il rallentamento iniziato nel periodo 2008-2013 (tra i 6 e i 7 metri quadrati al secondo) si è consolidato, quindi, negli ultimi due anni, con una velocità ridotta di consumo di suolo, che continua comunque a coprire, ininterrottamente, aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, servizi e strade, a causa di nuove infrastrutture, di insediamenti commerciali, produttivi e di servizio e dell'espansione di aree urbane, spesso a bassa densità».

In termini assoluti, è stata intaccata una porzione del nostro territorio pari a 21.100 chilometri quadrati. Stando ai dati locali, invece, nel 2015 tre regioni hanno superato il 10% di suolo consumato, con il valore percentuale più elevato in Lombardia, Veneto e Campania. In Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Puglia, Piemonte, Toscana, Marche troviamo valori compresi tra il 7 e il 10%. La regione più virtuosa è la Valle d'Aosta (3%). Nel triennio 2012-2015 l'Italia si è, allora, divisa nettamente in due: il consumo avvenuto nella metà dei Comuni italiani (51%) coincide con l'incremento della popolazione, mentre l'altra metà (49%) ha consumato "a perdere", ovvero nonostante la popolazione non crescesse. I piccoli comuni (con meno di 5mila abitanti) sono i più inefficienti, avendo i valori più alti di consumo marginale di suolo: per ogni nuovo abitante divorano mediamente tra i 500 e i 700 metri quadrati di suolo contro i 100 metri quadrati dei comuni con più di 50mila abitanti.

Questi dati, secondo il direttore del Cresme Lorenzo Bellicini, vanno letti in controluce. «Per fare una politica corretta in materia di consumo di suolo bisogna guardare con precisione a cosa lo provoca. E i numeri ci dicono che sono soprattutto le infrastrutture, più che l'attività edilizia. Puntare il dito sulle nuove costruzioni è sbagliato». Le elaborazioni dicono che le infrastrutture pesano per circa il 36%, contro il 15,4% dell'edilizia. Anche se, dal lato dell'edilizia, restano due problemi: «Il primo è una politica degli standard urbanistici che è rimasta ancorata al modello degli anni '60, quando eravamo in piena espansione. Quel modello andrebbe rivisto, sulla base delle nuove esigenze del paese. Il secondo è che c'è un consumo eccessivo causato dall'abuso di edilizia monofamiliare». Su 1.280 ettari consumati nel 2015, secondo il Cresme, esattamente 1.122 dipendono da villini, mentre l'edilizia plurifamiliare è praticamente ferma.

Serve, allora, qualche aggiustamento nell'approccio adottato negli ultimi anni sul fronte del contrasto al consumo di suolo. Patrizia Colletta, consigliere dell'ordine degli architetti di Roma, spiega che «non è sufficiente una buona legge per tutelare il suolo agricolo dall'edificazione o meglio dalla speculazione edilizia». La questione centrale è che «quando si approva una legge, occorre sempre monitorare la sua attuazione e seguire criticamente i diversi passaggi tecnico – amministrativi che si sono immaginati, per non trovarsi con situazioni di difficile applicazione, tale da inficiare i propositi iniziali». Allora, bisogna puntare su tre elementi: «Banca dati condivisa, l'open data del suolo e l'istituzione di una cabina di regia unica, una struttura di missione per la qualità del suolo, potrebbero rappresentare una importante e sostanziale inversione di tendenza, sarebbe il segnale che finalmente si sta affrontando il tema in maniera complessiva e strutturale sia per quanto riguarda la programmazione, il coordinamento e la ricognizione degli interventi urgenti sia per quello che riguarda i flussi di finanziamenti che i processi decisionali».

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