Contratti a termine, stipendi, concorsi e uffici stampa
La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità normative e applicative intervenute in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Illegittima la reiterazione dei contratti a termine
La Corte di cassazione, sezione lavoro, con l'ordinanza 9 giugno 2020 n. 10999, ha cassato la sentenza con cui un ente comunale era stato condannato a risarcire un danno pari a 20 mensilità, nei confronti di un lavoratore illegittimamente assunto con reiterati contratti a tempo determinato, in quanto è stata rilevata l'errata applicazione del parametro stabilito dall'articolo 18 della legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), in sostituzione dei corretti criteri dell'articolo. 32 della legge 183/2010. L'occasione è stata quella di precisare gli elementi fondamentali in caso di violazione delle regole sulle assunzioni a tempo determinato: «in materia di pubblico impiego privatizzato, nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, della I. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito».
P ignoramenti su somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità
L'Inps, con il messaggio n. 2479/2020, ha ricordato che sono sospesi i pignoramenti dell'agente della riscossione su somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento (articolo 152 del Dl 34/2020). Nel periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore del decreto stesso, vale a dire il 19 maggio 2020, e il 31 agosto 2020, la sospensione riguarda gli obblighi di accantonamento derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati prima di questa ultima data dall'agente della riscossione e dai soggetti iscritti all'albo previsto dall'articolo 53 del Dlgs 446/1997, aventi a oggetto le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza. Restano, invece, fermi gli accantonamenti effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto medesimo, e restano definitivamente acquisite e non sono rimborsate le somme accreditate, anteriormente alla stessa data.
Giudizi numerici nella correzione delle prove di concorso
«In presenza di criteri di massima e parametri di riferimento sufficientemente specifici da garantire la graduazione e l'omogeneità delle valutazioni effettuate, permettendo di controllare la logicità e la congruità dei giudizi espressi, il voto numerico attribuito alle prove o ai titoli di un concorso pubblico, si ritiene esprima e sintetizzi in modo sufficientemente completo il giudizio tecnico della commissione». Sono questi i principi espressi dal Tar Veneto – sezione prima – con la sentenza 12 maggio 2020 n. 443, nella quale è stato respinto il ricorso di una candidata ad una procedura selettiva, avverso gli atti della commissione.
Il regime del personale impiegato in uffici stampa
La Corte di cassazione, sezione lavoro, con sentenza 15 giugno 2020 n. 11543, ha analizzato il ricorso di un dipendente regionale (addetto stampa presso vari assessorati, iscritto all'ordine dei giornalisti, elenco pubblicisti), che aveva chiesto l'accertamento del diritto a essere reinquadrato all'interno dell'ufficio stampa con qualifica di redattore capo, e condanna dell'ente al pagamento delle connesse differenze retributive e previdenziali, oltre al risarcimento del danno.
La Corte ha illustrato che il complesso coordinamento di interessi che la legge è chiamata a realizzare, si attua attraverso regole rigorose che identificano l'ufficio stampa come organizzazione a sé stante, da prevedere in pianta organica sulla base di atti cosiddetti di macro-organizzazione, in cui inserire personale munito di uno speciale inquadramento, con profili professionali parimenti speciali e non attraverso estemporanee o indiscriminate attribuzioni di funzioni informative, assunte in forza di provvedimenti singolari comunque denominati, ma appartenenti alla sfera della c.d. micro organizzazione interna di un qualsivoglia ufficio della Pa.
Quanto ai profili previdenziali, le professionalità interessate dalla disciplina dell'articolo 9 della legge 150/2000, e più in particolare dalla partecipazione ad uffici stampa delle pubbliche amministrazioni, hanno una loro autonomia rispetto alla nozione di giornalista su cui si muovono le norme di disciplina della relativa specifica professione e del conseguente regime contributivo. Ne deriva che il mero svolgimento di fatto, pur se protratto nel tempo, di quelle attività, non potrebbe comunque determinare, poiché la legge non lo prevede, il sorgere di un diritto all'inquadramento previdenziale dei lavoratori quali addetti di ruolo agli uffici stampa della Pa.