Contratto degli enti locali nelle partecipate per frenare le spese di personale
Il tema del contenimento delle spese di personale delle società partecipate non ha avuto l'attenzione che meritava da parte del legislatore.
Il testo unico delle società partecipate infatti solo in una norma, l'articolo 19, comma 6, ne fa menzione quando prevede che i soci devono dare indirizzi alla governance della società per il contenimento del costo dei dipendenti. Nulla si dice circa la contrattazione da applicare o la possibile equiparazione tra contratto dei dipendenti dell'ente e contratto dei dipendenti della partecipata.
Infatti, in genere, il costo del personale delle società che rientrano nell'orbita delle pubbliche amministrazioni è calcolato con riferimento ai contratti collettivi di settore, sebbene sia possibile "optare" per un contratto collettivo, quello di Regioni ed enti locali, più conveniente dal punto di vista economico.
A questo punto è necessario effettuare una breve premessa circa la possibilità di recedere dai contratti nazionali di settore.
Prima della Costituzione il contratto collettivo aveva valore di fonte del diritto, dato l'espresso riferimento dell'articolo 1 delle disposizioni preliminari al Codice civile alle norme corporative. La disposizione consentiva la estensione erga om nes delle disposizioni dettate dalle Corporazioni.
A seguito del venir meno dell'ordinamento corporativo è venuto meno anche il parallelo articolo 2070 del codice civile; quindi l'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore.
Successivamente la Corte di cassazione, facendo leva sulla teoria della Drittwirkung ha ritenuto applicabile alcune norme della Costituzione in maniera diretta, tra le quali l'articolo 36, affermando il principio secondo cui il contratto nazionale di categoria, pur non vincolando le parti che non lo hanno sottoscritto (da parte datoriale e da parte dei lavoratori) contiene le condizioni economiche minime in base appunto all'articolo 36. Posto, però, che i contratti nazionali sottoscritti dalle associazioni di categoria non sono norme giuridiche, ben potrebbe il datore di lavoro, previo recesso da parte della sua organizzazione stipulante, applicare, dalla scadenza del contratto vigente, un altro contratto collettivo (purché sufficiente per una esistenza libera e dignitosa del lavoratore).
Interessante al riguardo la sentenza n. 3296/2002 della Cassazione, sezione Lavoro, secondo cui «il recesso unilaterale dell'imprenditore dal contratto collettivo a tempo indeterminato comporta soltanto l'insussistenza del vincolo in sede di stipulazione di nuovi contratti individuali, ma non comporta la risoluzione dei contratti individuali in corso». Non vi è dubbio che il contratto nazionale di Regioni ed enti locali assicuri il minimo indispensabile per il rispetto della dignità del lavoratore e una retribuzione adeguata alla qualità e quantità del lavoro prestato.
Tanto premesso, ben potrebbe il socio impartire direttive al CdA della società a che questi, alla scadenza del contratto nazionale di diritto privato applicato, recepisca il contratto dell'ente controllante, consentendo un significativo risparmio in tema di costo del personale.
(*) Giudice della Corte dei conti