Criteri di conciliazione applicabili al contenzioso pendente tra le stesse parti
L’esito della conciliazione è applicabile alla medesima controversia ancora in corso per annualità precedenti. Così ha statuito la corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che, con sentenza n. 2100/23, ha accolto parzialmente l’appello, assumendo una decisione destinata a far riflettere. Lo strumento che ha consentito l’accordo conciliativo (Cosiddetta conciliazione “fuori udienza”, articolo 48 del Dlgs 28 dicembre 1992 n. 546, così come modificato dall’articolo 4 comma 1 lettera g) della legge 31 agosto 2022, n. 130 e dall’articolo 1 del Dlgs 30 dicembre 2023 n. 220), può essere utilizzato per definire contenziosi ancora pendenti tra le stesse parti, per il medesimo immobile e per analoga materia del contendere.
Il Collegio ha ritenuto “ragionevolmente condivisibile” la raffinata e articolata argomentazione utilizzata nella conciliazione relativa all’accertamento Imu 2014, sebbene il Comune abbia inaspettatamente respinto la proposta della contribuente di definire bonariamente la questione relativa all’annualità 2013, utilizzando gli stessi criteri finalizzati all’individuazione della base imponibile.
Andiamo con ordine e ricostruiamo la vicenda. Il Comune, avendo riscontrato che l’azienda pubblica per i servizi alla persona (Asp) non ha distinto, nella dichiarazione Imu, le superfici destinate ad attività istituzionali da quelle ad uso commerciale, ha attivato d’ufficio la procedura di accertamento con adesione, allo scopo di individuare la base imponibile corretta. La controparte non ha risposto all’invito a comparire e non ha trasmesso la documentazione richiesta. L’ente, nonostante la volontà palesata di evitare il contenzioso dinanzi al giudice, è costretto a emettere gli avvisi di accertamento per l’intero fabbricato. L’azienda ha impugnato gli atti dinanzi alla commissione tributaria provinciale (nomenclatura originaria ante riforma, ndr) sostenendo che l’ente accertatore abbia erroneamente utilizzato l'intera superficie dell'istituto, dovendo invece escludere dalla base di calcolo, da un lato le aree destinate all'erogazione dei servizi di riabilitazione, considerato che il ricovero e/o le prestazioni sono totalmente gratuite per il paziente, poiché posti interamente a carico della sanità regionale e, dall'altro, le aree destinate alla Rsa, considerato che il contributo richiesto all'ospite copre solo il 39,49% dei costi sostenuti dall'azienda per l'erogazione del servizio. Ha in fine precisato che l'unica area eventualmente assoggettabile a Imu è quella destinata al bar, pari a 222 mq su un totale di 29.000 mq e, ha concluso, ribadendo che l’attività in generale, parte integrante del servizio sanitario nazionale sia esente dall’Imu al pari degli ospedali pubblici.
La commissione tributaria provinciale di Milano ha respinto il ricorso dell’azienda pubblica per i servizi alla persona (Asp) che ha impugnato gli atti di accertamento del Comune per infedele dichiarazione (anni 2012 e 2013) e ha condannato la controparte al pagamento delle spese di giudizio.
I giudici, nella sentenza n. 904/2020, hanno applicato integralmente l’impostazione e i principi statuiti dalla sezione tributaria della Corte di cassazione (sentenza n. 17256 depositata il 27/06/2019), “non essendovi motivi per discostarsi”. L’esenzione dell’imposta è consentita soltanto a condizione che i servizi offerti siano a titolo gratuito oppure dietro pagamento di corrispettivi simbolici o di entità tale da non garantire la remunerazione delle risorse impiegate. L’azienda ha impugnato detta sentenza di primo grado proponendo più motivi di appello e contestuale richiesta di conciliazione, totale o parziale, (articolo 48 bis del Dlgs 546/92), dichiarando la disponibilità a definire bonariamente la controversia sulla base dei richiamati criteri definiti con l’ente impositore nella conciliazione Imu per l’anno 2014. Il Comune, contrariamente alle aspettative, ha respinto tale ipotesi, invertendo la direzione adottata, improntata al pieno rispetto dei principi di collaborazione e buona fede tra ente impositore e contribuente. La Corte, dopo avere analizzato la copiosa documentazione agli atti, ha stabilito che il Comune debba continuare ad applicare i criteri individuati al termine di una lunga fase di contradditorio, culminata con un verbale che “cristallizza” le rispettive posizioni e, pertanto, riconoscere l’esenzione Imu alla porzione di immobile destinata allo svolgimento dei servizi cosiddetti “Idr” (con modalità non commerciali), confermando, invece, la pretesa fiscale per la porzione di immobile utilizzata per lo svolgimento dei servizi di “Rsa” (con modalità commerciali) e ha concordato sul fatto che, anche per il 2013 così come per il 2014, la superficie dell’immobile da assoggettare a Imu, per quanto sopra descritto, sia pari al 52 per cento di quella complessiva. (Per l’anno 2012, “non può sussistere materia del contendere atteso che la normativa vigente in quell’anno, non essendo ancora entrato in vigore l’articolo 91-bis del Dl 1/2012, convertito nella legge n. 27/2012”, vietava l’esenzione Imu in ipotesi di svolgimento di attività promiscua”).
I giudici hanno infine deciso che le spese siano “compensate per soccombenza reciproca”. La sentenza merita menzione perché è una delle prime, tra quelle “di merito”, ad affrontare, con assoluta fermezza, la delicata questione della retroattività dell’accordo conciliativo. Sebbene nel nostro sistema processuale non ci sia una norma che statuisca la regola dello stare decisis, il precedente costituisce un valore o una direttiva di tendenza, immanente nel nostro ordinamento. In altre parole, l’uniforme interpretazione è una linea guida, corollario del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, scolpito nell’articolo 3 della Costituzione.
(*) Componente del consiglio generale di Anutel
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