Appalti

Dalla «sacralità» della gara alla debolezza della Pa: in un pamphlet la paralisi delle opere pubbliche

«L'angelo sterminatore» di Marco Ruffolo racconta in modo originale le fragilità del sistema degli appalti: eccesso di formalismo, poca cultura del risultato

di Roberto Mangani

È da qualche settimana il libreria un interessante saggio di Marco Ruffolo, «L'angelo sterminatore». L'autore è un noto giornalista economico, allievo di Federico Caffè. In realtà si tratta di un saggio molto atipico e altrettanto originale, in cui la narrazione si svolge a cavallo tra il racconto e la fantapolitica.

In breve, un Presidente del Consiglio in carica nella primavera del 2022 raduna i giornalisti in una interminabile conferenza stampa per illustrare i mali che hanno nei decenni frenato lo sviluppo dell'Italia e le riforme individuate per superarli. Il tutto in un contesto temporale governato dalla necessità di spendere i fondi del Recovery.

Le soluzioni che l'autore propone per cercare di porre rimedio agli atavici problemi che riguardano l'organizzazione dello Stato e in particolare della nostra macchina amministrativa sono molte e variegate, spesso originali e altrettanto spesso volutamente provocatorie. Tuttavia, al di là della loro concreta realizzabilità, inducono a spunti di riflessione di grande interesse, che aiutano a ragionare di riforme non necessariamente contingenti, ma che possono proiettarsi in un arco temporale di medio periodo.
Alcuni passaggi significativi sono dedicati alla materia degli appalti pubblici e più in particolare alle gare.

La sacralità della gara
«Mi concentro invece sul secondo luogo comune, quello che riguarda le gare d'appalto per opere e servizi pubblici. Che recita: la gara è la regola ideale negli appalti perché favorisce la concorrenza ed evita la corruzione. Niente affatto: la gara d'appalto, soprattutto così com'è attuata oggi, può non essere la regola ideale, perché spesso non garantisce alcuna seria selezione, allunga tempi e costi, non evita la corruzione (anzi, può persino favorirla) e infine non c'entra nulla con la corruzione…..So di scandalizzare un po' tutti nel momento in cui mi scaglio contro questo strumento, da sempre circondato da un'aurea di sacralità perché associato, ma solo in linea teorica, alla concorrenza, alla trasparenza, alla legalità; mentre la scelta discrezionale dell'azienda a cui affidare un lavoro o un servizio è sempre stata considerata sinonimo di probabile corruzione, di opacità, di discriminazione….si continua a ripetere un ritornello ormai stucchevole: guai a chi non fa la gara, a chi non vi ricorre nel modo in cui hanno sempre disposto tutti i codici degli appalti che si sono susseguiti, compreso l'ultimo, che prevede molte regole, buste chiuse, punteggi complicatissimi sulla qualità progettuale, lunghi elenchi di requisiti, astruse clausole escludenti».

L'esposizione è evidentemente provocatoria. Tuttavia il tema di fondo che viene posto – spogliato dai suoi eccessi – non è affatto peregrino.

L'intero sistema che governa le regole di conclusione dei contratti pubblici si fonda sul rigoroso rispetto della forma, cui non sempre si accompagna con altrettanta efficacia la soddisfazione piena delle esigenze di carattere sostanziale dell'ente appaltante. Si hanno così procedure di gara formalmente ineccepibili – con tutto il corredo di pesanti adempimenti e obblighi che ne derivano - ma che spesso non portano alla selezione della migliore offerta. Si tratta di un retaggio antico, che affonda le sue radici nel carattere proprio del nostro diritto amministrativo, ancorato alla cultura giuridica latina piuttosto che a quella anglosassone.

Ciò non significa che la soluzione sia nell'abolizione della gara. Tuttavia occorre riflettere se, nell'ambito delle procedure competitive che lo stesso legislatore comunitario prefigura e disciplina, non si possano privilegiare – in misura sensibilmente più significativa di quanto non si sia fatto fino ad oggi – quelle caratterizzate da un minor grado di formalismo e da un più accentuato livello di discrezionalità.

È sufficiente pensare alla procedura negoziata o al dialogo competitivo. Si tratta di sistemi di scelta del contraente che salvaguardano il principio di concorrenzialità, ma rendono la negoziazione più fluida e flessibile, diminuendo il livello di formalità e di complessità procedurale, a tutto vantaggio dei contenuti volti a una più adeguata valutazione delle offerte.

Si tratta di una diversità di approccio che presuppone anche un cambio di mentalità. Il funzionario pubblico è inevitabilmente investito di una più ampia discrezionalità, il cui esercizio necessita a sua volta che sia rivisto il quadro complessivo dei controlli cui è soggetta l'attività amministrativa. L'annoso tema della responsabilità erariale o del reato di abuso d'ufficio va affrontato in una logica nuova, in cui ciò che va sanzionato è il comportamento doloso del funzionario pubblico – paradossalmente configurabile anche nel semplice "non fare" – senza allargare a dismisura gli ambiti della responsabilità amministrativa e penale.

L'elenco delle imprese e la rotazione
«Nel momento in cui si decide di dare avvio ai lavori o di affidare un certo servizio, le stazioni appaltanti devono avere già a disposizione un elenco di imprese – tra quelle che lavorano per la pubblica amministrazione – che sia stato da loro selezionato in precedenza sulla base dei requisiti tecnico – operativi, del know how e delle competenze. Un elenco di imprese capaci di fronteggiare il problema del momento. Ogni elenco è destinato a una certa categoria di problemi e obiettivi ….questo significa che ogni volta che si presenta l'esigenza di una certa infrastruttura o di un certo servizio si sa già quale è il novero delle aziende in grado di realizzarli…. A quel punto, non servirebbe fare gare d'appalto né avviare procedure negoziate finalizzate alla scelta. Basterebbe utilizzare quello che adesso è solo uno strumento residuale a disposizione delle stazioni appaltanti: la rotazione».
Anche sotto questo profilo è evidente un certo grado di provocazione. Abolizione della gara tout court e utilizzo esclusivo del criterio di rotazione ai fini dell'assegnazione – al di fuori di ogni confronto concorrenziale - rappresentano soluzioni estreme, di difficile attuazione pratica, e presumibilmente neanche in linea con i principi generali della contrattualistica pubblica e dell'ordinamento comunitario.
Tuttavia questa provocatoria proposta fa emergere un tema centrale e molto critico: il sistema di qualificazione delle imprese che intendono rendersi affidatarie di appalti di lavori, forniture e servizi.

Nel settore dei lavori tale sistema si fonda, come noto, sulle Soa - la cui attività è posta sotto la vigilanza dell'Anac - che rilasciano l'attestazione di idoneità all'esecuzione dei lavori, suddivisi per tipologia di opere e per classi di importo.
In realtà questo sistema presenta significative criticità. E ciò a prescindere dalla professionalità delle singole Soa, che può anche essere elevata. Ciò che non convince è il modello di natura privatistica che governa l'attività di qualificazione, posto che l'impresa è legata da un contratto di natura professionale con la Soa, con una inevitabile tendenza a tenere in considerazione le esigenze del cliente.

Il tema di fondo è che la qualificazione, assolvendo al perseguimento di un interesse pubblico prioritario consistente nell'esigenza di avere imprese adeguatamente idonee a eseguire le prestazioni oggetto dei contratti di appalto, dovrebbe essere interamente riportata in un alveo pubblicistico. Si tratta infatti di una funzione che per natura appartiene all'ambito pubblico, essendo destinata ad assolvere un interesse di carattere generale che rientra nei compiti tipici dello Stato regolatore. Ovviamente dotando lo Stato degli strumenti e delle professionalità adeguate per poter svolgere questa funzione.
Ed anzi, in prospettiva sarebbe opportuno che il sistema di qualificazione di natura pubblicistica e a carattere nazionale si estendesse anche alle forniture e ai sevizi.

Il controllo della fase esecutiva
«In cambio del lavoro garantito a tutte le aziende incluse negli elenchi ….all'amministrazione verrà dato un potere di regolazione molto forte sull'azienda sorteggiata, che riguarderà la qualità dei lavori richiesti; i tempi e i modi di realizzazione; i controlli da parte del direttore dell'esecuzione, che non potrà mai essere esterno all'amministrazione stessa; le penali in caso di mancati adempimenti….Ossia tutto il contrario di quello che succede oggi, con una regolazione pubblica tanto blanda da sancire il predominio delle aziende appaltatrici e concessionarie sull'amministrazione».

Queste considerazioni toccano un punto nevralgico del sistema, che a tutt'oggi continua ad essere sottovalutato. La maggioranza del dibattito e delle ipotesi di riforma da sempre ruotano attorno alla fase della gara. Quasi che, una volta conclusa la procedura di gara e individuato l'aggiudicatario, i problemi fossero risolti.

In realtà le questioni e le criticità che si evidenziano nella fase esecutiva dei contratti di appalto sono altrettanto importanti – e spesso molto più rilevanti – di quelle proprie della fase della procedura di gara.

Sotto questo profilo prima ancora che pensare a grandi progetti di riforma sarebbe innanzi tutto necessario applicare con puntualità e diligenza le norme esistenti.
Con particolare riferimento al settore dei lavori, si può ragionevolmente ipotizzare che se l'ente appaltante si dotasse inizialmente di un progetto realmente esecutivo e di una direzione lavori capace di svolgere i suoi compiti con efficacia e tempestività, la gran parte dei problemi che normalmente sorgono nella fase esecutiva verrebbe ridimensionata in un ambito del tutto fisiologico.

Ovviamente ciò presuppone una competenza e una presenza di professionalità tecniche di cui oggi le amministrazioni sono prive. Volendo rimanere nell'ambito delle formule, l'obiettivo dovrebbe essere quello di passare dalla "cultura della norma" alla "cultura del progetto".

È questa la grande riforma di cui probabilmente c'è più bisogno. Il riconoscimento di una maggiore discrezionalità alle stazioni appaltanti e il controllo efficace delle prestazioni degli appaltatori presuppone che le stesse abbiano al loro interno quelle competenze tecniche che attualmente mancano. Senza questo cambio di prospettiva, che è la "madre" di tutte le riforme, ogni altro intervento rischia di risultare vano.

Se parte delle risorse del Ricovery fund saranno indirizzate a questo scopo sarà forse finalmente possibile attuare quell'inversione di rotta che lo stesso libro di Ruffolo evidenzia in molte altre parti in cui illustra quello che il fantomatico Presidente del Consiglio definisce «Il Grande Progetto».

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