Appalti

Danno erariale da concorrenza anche se con la gara truccata la Pa ottiene maggior ribasso

L'alterazione delle regole del mercato si traduce comunque in un danno all'ente compromettendo alla fonte il meccanismo di formazione dei prezzi

di Domenico Irollo

Il danno erariale da concorrenza conseguente all'alterazione delle procedure competitive di affidamento di appalti pubblici è configurabile anche quando l'amministrazione aggiudicatrice, attraverso il meccanismo illecito messo in piedi da propri dipendenti per pilotare le gare, spunta più elevate percentuali di ribasso rispetto alla base d'asta. Lo sostiene la Corte dei conti del Lazio con la sentenza n. 589/2020.

La vicenda

La fattispecie al vaglio dei giudici contabili capitolini riguarda soggetti che all'epoca dei fatti erano dipendenti, sia civili che con le stellette, dell'aeronautica militare. Questi avevano dato vita a un vero e proprio sodalizio criminale in grado di manipolare il regolare confronto tra le ditte concorrenti e garantire l'aggiudicazione delle commesse alle imprese colluse, in cambio di dazioni tangentizie commisurate a un percentuale sul valore dell'appalto. Il meccanismo era piuttosto semplice: in virtù della complicità assicurata da taluni dei suoi stessi membri, l'organizzazione aveva infatti la possibilità di accedere clandestinamente nei locali delle caserme dove erano custodite le buste con le offerte dei partecipanti alla gara. In questo modo, prima che potessero essere aperti dal seggio di gara, i plichi venivano manomessi e l'offerta dell'azienda connivente, coinvolta negli accordi corruttivi, modificata in modo da risultare la più conveniente. Le buste erano quindi richiuse e riposte nuovamente in cassaforte.

Il verdetto
I dipendenti pubblici infedeli, oltre che sul piano penale, sono stati perseguiti anche sotto il profilo della responsabilità amministrativa, ai fini del ristoro del pregiudizio erariale. Tra le poste ammesse al risarcimento, il Collegio laziale ha in particolare riconosciuto sussistente anche il danno patrimoniale alla concorrenza. Ad avviso dei giudici, difatti, queste offerte "falsate", anche se sulla carta consentono all'amministrazione appaltante di spuntare condizioni economiche migliori, costituiscono proposte "disequilibrate" che devono necessariamente essere riequilibrate nel prosieguo del rapporto contrattuale, attraverso il ricorso, ad esempio, a costose e inutili varianti in corso d'opera oppure a economie da far gravare sui costi da sostenere per l'acquisto di materiali o di servizi, indispensabili per la buona riuscita dell'opera: tant'è che, nel caso in esame, agli atti del parallelo procedimento penale, erano presenti anche le emblematiche dichiarazioni di uno degli imprenditori collusi, il quale, all'atto della sostituzione fraudolenta di una sua offerta, ha confessato di essere rimasto «spiazzato» in quanto il ribasso «suggerito» era eccessivo e rendeva antieconomica la partecipazione alla gara, salvo poi acconsentire poiché tanto avrebbe in qualche modo «recuperato, magari dai costi da sostenere presso i fornitori».
In altre parole, l'alterazione delle regole del mercato, che disciplinano la concorrenza, si traduce comunque in un danno all'ente pubblico/parte contrattuale, perché compromette alla fonte il meccanismo di formazione dei prezzi, privando il contraente pubblico della possibilità di conseguire approvvigionamenti in cui vi sia un giusto equilibrio tra qualità del servizio e utile di impresa. In definitiva, l'Amministrazione è necessariamente costretta a sostenere una maggiore spendita di denaro per "riequilibrare" l'anomalia dell'offerta presentata in fase di gara, pari alla differenza tra la spesa effettivamente sostenuta e quella minore che avrebbe potuto sostenere a fronte di una corretta e realmente concorrenziale procedura di gara.

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