Personale

Danno erariale al dipendente che altera le timbrature del cartellino

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di Michele Nico

Il dipendente pubblico che attesta falsamente la presenza in ufficio con la reiterata manipolazione delle rilevazioni registrate dal sistema informatico viola un fondamentale obbligo di servizio, rappresentato dal dovere di fornire la prestazione di lavoro secondo le condizioni previste dal rapporto di impiego con la Pa, cagionando alle pubbliche finanze un danno pari alla retribuzione indebitamente erogata.
Con la sentenza n. 110/2018, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per l'Abruzzo, riporta in primo piano il tema dei «furbetti del cartellino», che tempo fa ha visto una stretta di rigore con il Dlgs 116/2016, il quale ha introdotto maggiori responsabilità per i dirigenti tenuti a vigilare sull'operato dei loro collaboratori, nonché tempi più celeri per il procedimento disciplinare e la possibilità di condannare il pubblico dipendente al risarcimento del danno all'immagine della Pa.

La vicenda
Nel caso in esame, la Procura regionale ha chiamato in giudizio un dipendente dell'Inps rispetto al quale la direzione dell'istituto di previdenza aveva segnalato, nell'ambito di verifiche dei sistemi di gestione del personale, una serie di anomalie riscontrate nella rilevazione delle presenze in ufficio. Anomalie che, secondo la relazione dell'istituto, non potevano che essere frutto di manomissioni sul sistema da parte dell'interessato, al preciso fine di alterare gli orari di ingresso e uscita risultanti dall'orologio marcatempo. La circostanza aggravante di questa condotta illecita era il lungo arco di tempo poichè le irregolarità si sono protratte per anni (dal 2004 al 2015).
A fronte delle deboli eccezioni opposte dalla difesa dell'imputato – prescrizione parziale del danno erariale, ipotizzato malfunzionamento degli orologi marcatempo, asserite «prove tecniche» di timbratura per verificare il corretto ripristino dell'apparecchiatura) – il collegio non ravvisa i presupposti per attenuare la responsabilità del convenuto, al quale viene ascritto un illecito di singolare gravità per il fatto che, come si legge nella sentenza, «le alterazioni del sistema di registrazione delle presenze apparivano, all'evidenza, maliziosamente e scientificamente effettuate» per di trarre un indebito vantaggio personale.

La condanna
Di qui la mano pesante dei giudici, con la condanna al risarcimento di un danno pari a 42mila euro oltre agli interessi legali, determinato da vari fattori: l'inutile pagamento della retribuzione a fronte di prestazioni lavorative non rese dall'interessato e falsamente attestate dal medesimo, la fruizione di buoni pasto, pur in mancanza dei requisiti contrattuali previsti e la necessità di dedicare risorse umane all'individuazione ed all'elaborazione delle alterazioni perpetrate dal dipendente.
La pronuncia, come ben si vede, punta il dito contro il diffuso malcostume dei «furbetti del cartellino», ed evidenzia ancora una volta come l'avversione a questo fenomeno sia fortemente avvertita.

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