Urbanistica

Distanze/2. Fuori dai centri abitati vale il codice della strada (salvo le norme del Prg)

Palazzo spada chiarisce la differenza tra "centro abitato" definito del Dlgs n.285/1992 e l'accezione urbanistica

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di M.Fr.

Il Consiglio di Stato ( sentenza n.3900/2020, seconda sezione ) ha rimesso ordine nella disciplina da applicare alle fasce di rispetto dalla sede stradale fuori dai centri abitati. Intervenendo su una "confusa" gestione amministrativa di una pratica di permesso di costruire, Palazzo Spada ha colto l'occasione di definire la corretta gerarchia delle regole applicative sulle distanze indicate nel Dm 1444/68 e nel Dm 1404/68 (distanze minime dale strade fuori dai centri abitati) nel caso in cui non siano state attuate le norme previste dal codice della strada del 1992.

Per prima cosa, i giudici della II sezione ricordano che - secondo la norma transitoria dell'articolo 234, comma 5, del Codice della Strada - l'applicabilità del nuovo codice del 1992 è condizionata alla delimitazione dei centri abitati da parte del Comune (art. 4) e anche alla classificazione delle strade, secondo appositi provvedimenti attuativi (articolo 2, comma 2). Se queste due condizioni non sono soddisfatte continua a trovare applicazione il decreto interministeriale 1° aprile 1968, n. 1404, che detta appunto le distanze minime a protezione del nastro stradale nella edificazione fuori dal perimetro dei centri abitati.

Tuttavia, entrambe le norme citate - il nuovo codice della strada e il Dm 1404 - «si preoccupano di salvaguardare l'autonomia programmatoria in materia urbanistica degli enti territoriali, condizionando il rigoroso o più rigoroso regime delle distanze alla esistenza o meno di una disciplina edificatoria». In altre parole la potestà pianificatoria comunale si impone sulle norme del codice della strada negli «insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione».

Il punto da chiarire è la diversa valenza della definizione di "centro abitato", nella accezione "viabilistica", per così dire, e urbanistica. Per il codice della strada il centro abitato è un «insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine», identificabile in un «raggruppamento continuo, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili, costituito da non meno di venticinque fabbricati e da aree di uso pubblico con accessi veicolari o pedonali sulla strada».

Tale centro abitato «è cosa diversa - sottolineano i giudici - da quello individuato a fini urbanistici, siccome tipico della normativa previgente, a prescindere peraltro dalle esigenze e dalle modalità di coordinamento poste in essere dalle amministrazioni territoriali per cercare di armonizzare in ambito pianificatorio concreto le relative indicazioni». «Essere fuori dal centro abitato, quale che sia l'accezione attribuita al relativo termine, è uno dei presupposti di applicabilità del regime delle distanze di cui all'art. 26 del Regolamento di esecuzione del Codice; laddove l'altro è l'estraneità dall'ambito operativo degli strumenti urbanistici, che al contrario possono riferirsi anche ad altre zone, oltre al centro abitato medesimo».

La pronuncia del Consiglio di Stato

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