Fisco e contabilità

E-fatture, i 15 giorni concessi alle Pa per il rifiuto conplicano i rapporti con i fornitori

Gli enti che possono scegliere sistematicamente di non rifiutare mai le fatture e regolare eventuali problematiche con la richiesta di note di accredito

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di Domenico Luddeni

Con il Dm 132/2020 del ministero delle Finanze, in vigore dal 6 novembre 2020, sono state introdotte le motivazioni sulla base delle quali le Pa potranno rifiutare le fatture elettroniche.Il nuovo articolo 2-bis inserito nel Dm 55/2013, dispone che la fattura potrà essere rifiutata:
1. se la fattura elettronica è riferita a una operazione che non è stata posta in essere in favore del soggetto destinatario della trasmissione;
2. per l'omessa o errata indicazione del (Cig) o del (Cup);
3. per omessa o errata indicazione del codice di repertorio stabilito dal decreto del ministero della Salute 21 dicembre 2009;
4. per omessa o errata indicazione del Codice di autorizzazione all'immissione in commercio (Aic) e del corrispondente quantitativo da riportare in fattura (Decreto Mef 20 dicembre 2017);
5. per l'omessa o errata indicazione del numero e data della determinazione dirigenziale d'impegno di spesa per le fatture emesse nei confronti delle Regioni e degli enti locali.

In tutti gli altri casi, l'ente dovrà richiedere una nota di credito in base all'articolo 26 del Dpr 633/1972. Diversi sono gli aspetti critici della nuova disposizione che devono essere affrontati e chiariti. In primo luogo bisogna sottolineare che da quando è stata introdotta la fattura elettronica nei confronti della Pa, è stata prevista, a parere di chi scrive in modo anomalo, la possibilità del rifiuto della fattura nei 15 giorni dal suo ricevimento. Questa disposizione ha prodotto una asimmetria tra l'emittente della fattura e il ricevente in ordine all'esistenza del documento, creando importanti problemi di gestione Iva, senza, d'altro canto, produrre apprezzabili vantaggi per le Pa, le quali invece del rifiuto fattura potrebbero chiedere, come in passato, una semplice nota di credito elettronica, che in seguito al «rifiuto elettronico» comunque riceveranno. Infatti il decreto 55/2013, articolo 2, comma 4, stabilisce che la fattura elettronica si considera trasmessa per via elettronica (articolo 21, comma 1, del Dpr 633/1972) e ricevuta dalle amministrazioni solo a fronte del rilascio della ricevuta di consegna. Secondo l'articolo 21, comma 1, del Dpr 633/1972, la fattura, cartacea o elettronica, si ha per emessa all'atto della sua consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione del cessionario o committente. Appare evidente il problema: a fronte della ricevuta di consegna il fornitore ha in contabilità una fattura emessa mentre la Pa ha ancora 15 giorni di tempo per rifiutarla. In caso di rifiuto il fornitore deve annullare il documento emesso, quindi esistente, secondo le regole del Dpr 633/1972 emettendo una nota di accredito. Ma anche quest'ultimo documento dovrà essere trasmesso in quanto lo stesso soggiace alle stesse regole previste per la fattura, è emesso, e quindi esiste, all'atto della consegna spedizione trasmissione o messa a disposizione, con buona pace delle fantomatiche note di credito interne che non hanno nessun valore per l'agenzia delle Entrate mettendo anche a rischio la detrazione Iva che si produce registrando la nota di accredito "interna". L'eliminazione dei 15 giorni concessi alle Pa per il rifiuto delle fatture potrebbe semplificare i rapporti con i fornitori, come peraltro già accade nella fatturazione elettronica tra privati dove non è previsto il «rifiuto fattura».

Venendo alle cause di rifiuto fattura uno degli aspetti più controversi riguarda l'indicazione di un dato, tipicamente codice Cig o Cup, in campi diversi da quelli previsti dal tracciato fattura. La contestazione del fornitore è ovvia: il dato è presente anche se non nella posizione prevista. A difesa dell'operato degli uffici che rifiutano la fattura che riporta un dato in posizione diversa da quanto previsto dalla regole tecniche, soccorre l'allegato C, linee guida, al Decreto 55/2013, punto 3.1, che stabilisce «per consentire al sistema di interscambio…..(omissis) è necessario che i dati vengano forniti nel formato fattura previsto dal decreto».

Per quanto riguarda l'omessa o errata indicazione del numero e data della determinazione dirigenziale d'impegno di spesa per le fatture emesse nei confronti delle Regioni e degli enti locali bisogna ricordare che già l'articolo 191 del Tuel, Dlgs 267/2000, stabilisce che «La comunicazione dell'avvenuto impegno e della relativa copertura finanziaria, riguardanti le somministrazioni, le forniture e le prestazioni professionali, è effettuata contestualmente all'ordinazione della prestazione con l'avvertenza che la successiva fattura deve essere completata con gli estremi della suddetta comunicazione». Nel caso specifico quindi all'obbligo stabilito dal Tuel si aggiunge l'obbligo di indicare numero e data della determinazione dirigenziale (ove presente posto che alcuni acquisti si effettuano con buoni d'ordine). Non si sentiva la mancanza di questo ulteriore dato che appare ridondante e fonte di ulteriori errori.

Si pone inoltre il problema di errori gravi nella fatturazione, errata annotazione dell'esigibilità dell'Iva o della natura dell'operazione (split payment o esigibilità immediata/differita), importo non corretto, mancanza di elementi essenziali della fattura previsti dall'articolo 21, fattura differita invece che immediata, che non consentiranno più il rifiuto da parte dell'ente. Particolarmente importante il caso in cui la fattura riporti una descrizione generica, posto che commissione tributaria provinciale di Milano con la sentenza n. 2897/2019 (+si veda Enti locali & edilizia del 26 settembre 2019) ha ribadito che in presenza di una fattura di acquisto che riporti una descrizione generica del servizio effettuato, il costo non è deducibile ai fini Ires né ai fini Iva. Anche in questo caso bisognerà richiedere nota di accredito in quanto non si ricade nella fattispecie di cui al Dm 132/2020. In ogni caso il sicuro aumento delle note di credito richieste influenzerà l'indice dei tempi di pagamento sulla piattaforma certificazione crediti (Pcc) in quanto non essendo previsto un aggancio automatico si corre il rischio di mostrare tempi di pagamento dilatati non veritieri, obbligando quindi l'ente ad operazioni manuali di aggancio delle note di credito a storno totale o parziale delle fatture. É auspicabile quindi che la Pcc venga implementata in modo da consentire l'abbinamento automatico tra la fattura e la corrispondente nota di credito. Bisogna comunque sottolineare che il rifiuto della fattura è una facoltà concessa agli enti che possono scegliere sistematicamente di non rifiutare mai le fatture e regolare eventuali problematiche con la richiesta di note di accredito.

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