Amministratori

È pubblico ufficiale solo chi svolge in concreto le mansioni tipiche dell'attività pubblica

Il criterio oggettivo-funzionale prevale sul rapporto di impiego con l'ente o dell'interesse pubblico perseguito

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di Andrea Alberto Moramarco

Agli effetti della legge penale, «l'esercizio della pubblica funzione o del pubblico servizio da parte dell'agente deve essere escluso quando l'attività svolta dal soggetto sia regolata in forma privatistica, anche se ne è parte una persona giuridica pubblica o una società partecipata quasi totalitariamente da un ente pubblico». A ribadire questa regola è la Cassazione con la sentenza n. 5550/2021, depositata ieri, sottolineando come nel delineare la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio deve privilegiarsi il criterio oggettivo-funzionale, a scapito del criterio che fa leva sul rapporto di impiego con l'ente pubblico e del criterio dell'interesse pubblico perseguito.

Il caso
Al centro della vicenda oggetto della decisione ci sono alcune condotte contestate all'amministratore di una società per azioni che gestiva un complesso termale, il cui capitale era interamente detenuto da un Comune. L'uomo era accusato di essersi appropriato di circa 30mila euro, disponendo delle somme a mezzo di pagamenti effettuati tramite carta di credito intestata alla società. L'amministratore veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di peculato, in quanto i giudici ritenevano che la partecipazione pressoché totalitaria del capitale sociale da parte dell'ente locale e la finalità pubblica perseguita dalla società fossero elementi sintomatici sufficienti per ritenere come pubblica l'attività espletata.
L'amministratore si rivolgeva così in Cassazione contestando siffatta qualificazione in termini pubblicistici della società da lui diretta. Per il ricorrente, la società non era concessionaria di pubblico servizio e agiva a tutti gli effetti come società privata, né la partecipazione al capitale da parte del comune poteva in alcun modo rilevare sulla natura giuridica della società, sicché difettavano i presupposti normativi per qualificare in termini di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio la sua posizione.

La decisione
Il rilievo coglie nel segno e induce i giudici di legittimità ad annullare la condanna e riqualificare i fatti contestati nel reato di appropriazione indebita aggravato dall'abuso delle relazioni di ufficio. Il ragionamento seguito dai giudici di merito, afferma la Cassazione, non è conforme alla disciplina vigente: la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio (articoli 357 e 358 del codice penale), è delineata secondo una concezione oggettivo-funzionale e si «incentra sul regime giuridico dell'attività concretamente esercitata». Ciò significa che il pubblico ufficiale, ovvero l'incaricato di pubblico servizio, è tale se svolge in concreto mansioni tipiche dell'attività pubblica, a prescindere da un rapporto di dipendenza con l'ente. In altri termini, spiega la corte, ai fini del riconoscimento delle qualifiche «non deve aversi riguardo alla natura dell'ente da cui lo stesso dipende, né alla tipologia del relativo rapporto di impiego, né ancora all'esistenza di un formale rapporto di impiego, né ancora all'esistenza di un formale rapporto di dipendenza con lo Stato o con l'ente pubblico, ma deve valutarsi esclusivamente la natura dell'attività effettivamente espletata dall'agente, ancorché lo stesso sia un soggetto "privato"».

Nel caso di specie, conclude la Cassazione, l'influenza e il controllo esercitati dal Comune, così come l'interesse pubblico perseguito dalla società, elementi valorizzati dai giudici di merito, sono irrilevanti sotto il profilo penale al fine di affermare la sussistenza di un pubblico servizio. Dalla valutazione concreta dell'attività esercitata non emerge, infatti, che l'imputato operasse in un regime diverso da quello privatistico.

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