Fisco e contabilità

Famiglie, l’Italia divisa dal fisco locale

di Dario Aquaro

Dai 1.127 euro della Valle d’Aosta ai 2.066 euro della Campania, ogni anno il fisco locale continua a premere sulla famiglia italiana con forze diverse. Da regione a regione. Ed è così che un nucleo familiare campano può trovarsi a pagare oltre 900 euro in più di uno valdostano, secondo i recenti dati di Banca d’Italia, rielaborati dal Sole 24 Ore del Lunedì. Anche se – è bene dirlo – i divari territoriali non ricalcano una semplice separazione Nord-Sud: perché rispetto a una media nazionale di 1.620 euro (quasi pareggiata dalla Puglia), ci sono Regioni meridionali in cui la pressione fiscale si tiene bassa (come la Basilicata, 1.388 euro) e Regioni settentrionali in cui invece si alza (come il Piemonte, 1.794).

Il prelievo è stato calcolato da Bankitalia su una famiglia-tipo: due adulti lavoratori dipendenti e due figli minorenni a carico di entrambi, un reddito imponibile Irpef complessivo di 44.600 euro, una casa di proprietà di 100 metri quadri, un’automobile utilitaria (si veda il grafico a lato). Su questo nucleo è stato misurato – per i capoluoghi provinciali – il carico 2019 di una serie di tributi di competenza di Regioni, Province o Comuni: dal reddito (addizionali Irpef) ai servizi (Tari, Tefa), dai consumi (gas metano, benzina, dove previsto) all’auto (bollo, Rc, trascrizione). Non c’è la Tasi, che dal 2016 non grava più sulle abitazioni principali non di pregio (si veda l’articolo in basso).

Il valore delle addizionali

Il grosso di questo prelievo arriva dalle imposte sul reddito, cioè le addizionali comunali e regionali all’Irpef. Un valore relativo che in prospettiva potrà ancora aumentare, considerati gli effetti dell’emergenza coronavirus. A partire dalle Regioni sottoposte ai Piani di rientro dai deficit sanitari, sulle quali pende il rischio dell’incremento in misura fissa di 0,30 punti percentuali dell’addizionale (un mese fa l’agenzia delle Entrate ha spiegato come applicare le nuove maggiorazioni comunicate dal Mef per Calabria e Molise, che nel 2019 hanno mancato gli obiettivi dei rispettivi Piani).

La possibilità di alzare “motu proprio” le aliquote delle addizionali Irpef – come di altri tributi locali – è stata invece sbloccata l’anno scorso dalla legge di Bilancio, dopo tre anni di congelamento. E molte amministrazioni ne hanno approfittato. Mentre ora si trovano ad affrontare il crollo delle entrate dovuto alla crisi: soprattutto sul fronte delle imposte sui redditi, visto il calo delle attività (ma non solo: motivo per cui a Regioni, Comuni e Province il decreto d’agosto garantirà oltre 5 miliardi).

Le incidenze sui redditi

Nel 2019 le addizionali Irpef hanno pesato a livello nazionale per oltre il 2% del reddito familiare medio. Mentre il totale dei tributi locali analizzati nei report sulle «Economie regionali 2020» pesa per il 3,6 per cento. Le tre Regioni in cui questo valore scende sotto il 3% sono tutte a statuto speciale, al fondo della classifica del prelievo: Valle d’Aosta (2,5), Friuli Venezia Giulia (2,8) e Sardegna (2,9).

Ma non è lo status che fa le tasse: in Sicilia, anch’essa “speciale”, l’anno scorso il fisco locale ha chiesto alla famiglia-tipo 1.539 euro, il 3,5% del reddito. Un valore poco inferiore alla media nazionale, ma superiore a quella delle Regioni autonome (3,1%). Cui riescono invece ad allinearsi le più “clementi” a statuto ordinario: Lombardia e Basilicata, dove si paga quasi 700 euro in meno che in Campania e 500 euro in meno che in Lazio.

Pressione fiscale e riscossione

Gli enti laziali, come quelli campani, calabresi, molisani o piemontesi – nelle cinque zone più “onerose” d’Italia – «si caratterizzano per aliquote dei tributi locali generalmente più elevate rispetto alla media» delle Regioni ordinarie. E che nell’ultimo anno sono spesso cresciute.

Ma all’elevata pressione fiscale – avvertono gli analisti di Bankitalia – corrisponde a volte un gettito effettivo inferiore, «a causa della bassa capacità di riscossione delle entrate proprie da parte degli enti territoriali». È il caso della Calabria, che si trascina da tempo questa particolarità: nella media del triennio 2015-2017, ad esempio, per le sole entrate proprie la capacità di riscossione dei Comuni è stata «nettamente inferiore a quella delle Regioni ordinarie»: 50 contro 70 per cento.

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