Urbanistica

Fiscalizzazione dell'abuso edilizio, Palazzo Spada «sceglie» il metodo per convertire i volumi in superficie

Il Consiglio di Stato autorizza l'applicazione, per analogia, della regola dei 3/5 (della legge 47/1985) per quantificare la sanzione ex articolo 34 comma 2: «meccanismo preferibile rispetto ad altri»

di Massimo Frontera

In una recente sentenza il Consiglio di Stato ha dato una chiara indicazione su quale sia il sistema preferibile per calcolare la sanzione nei casi di abusi edilizi in parziale difformità in cui la sanzione della demolizione può essere sostituita dalla fiscalizzazione. Il caso prende le mosse da una ordinanza di demolizione emanata dal comune molisano di Campodipietra nei confronti di un privato che ha realizzato un edificio raggiungendo, nei locali garage, un'altezza maggiore rispetto a quella autorizzata. Il ricorso dell'interessato è stato accolto dal Tar Molise, mentre la pronuncia della Sesta sezione di Palazzo Spada (n.8170 pubblicata il 23 settembre 2022) ha ribaltato l'esito, accogliendo l'appello dell'amministrazione locale. Il secondo giudice ha infatti ritenuto corretto l'operato della Pa non solo sul piano del diritto ma anche sul piano tecnico, cioè nella scelta dei parametri e del metodo per calcolare la sanzione. Di più. I giudici affermano che il meccanismo prescelto dall'Amministrazione, non solo «non è arbitrario né irragionevole» ma è da preferire ad altre soluzioni. Si tratta di soluzioni che i giudici della Sesta Sezione attingono dalla giurisprudenza e che sono emersi in due cause discusse in Lombardia e in Toscana su casi analoghi (si veda oltre). Ma ecco il percorso seguito dal comune di Campodipietra, come ricapitolato dalla stessa pronuncia. I passaggi logici sono tre: definizione del costo unitario di produzione; determinazione della superficie abusiva, calcolata sommando la superficie scaturita dalla conversione del volume abusivo rilevato nel sottotetto con la superficie dei locali garages; moltiplicazione del costo unitario di produzione per l'intera superficie illegittima.

La regola dei 3/5
Quanto alla conversione del volume in superficie, l'amministrazione ha scelto di fare riferimento alla legge sul condono del 1985 e al relativo calcolo per quantificare l'oblazione, anche in assenza di un riferimento normativo nel Dpr. Ha dunque scelto di moltiplicare la maggiore altezza del fabbricato per la superficie totale del piano sottotetto e determinando la superficie in misura pari a 3/5 del volume (come indicato dalla nota n.1 della tabella allegata alla L. n. 47/1985). «Nell'operato dell'Amministrazione - si legge nella pronuncia del Consiglio di Stato - questo meccanismo non costituisce propriamente l'applicazione diretta di una regola di diversa natura trattandosi, al contrario, di un mero parametro tecnico, utilizzato al fine di dare applicazione al disposto primario di cui all'art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 individuando la sanzione dovuta per l'opera in difformità». «Dopo aver individuato l'esatta natura della regola dei cosiddetti 3/5 in un parametro di carattere tecnico - si legge sempre nella sentenza - si osserva come l'uso dello stesso da parte dell'Amministrazione non possa ritenersi né arbitrario né irragionevole. Infatti, si tratta di un criterio che tempera le conseguenze sanzionatorie che deriverebbero ove si operasse una mera moltiplicazione del costo di produzione per i metri cubi in eccesso».

Dal Dpr 380 alla legge sull'equo canone
La giustificazione del passaggio dal Dpr 380 alla legge sull'equo canone del 1978 alla legge sul condono del 1985 è spiegato in un passaggio della sentenza. «Invero - si legge - deve considerarsi come la previsione di cui all'art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 consenta, comunque, di determinare il trattamento sanzionatorio per ipotesi come quelle all'attenzione del Collegio seppur con necessari adeguamenti imposti dalla peculiarità della fattispecie. Infatti, la previsione in esame opera un rinvio in senso materiale alla L. n. 392/1978, "riferito ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, al di là ed indipendentemente dall'attuale loro vigenza nella materia delle locazioni urbane (cfr. Cons. St., St., IV, 12 marzo 2007 n. 1203)"; infatti, sebbene "il testo unico racchiuso nel DPR n. 380 [sia] ben successivo alla riforma dell'equo canone, [questo non si è adeguato] al nuovo regime ex l. 9 dicembre 1998 n. 431 né allora, né adesso, nonostante tutte le novelle intervenute nella disciplina dell'edilizia". Pertanto, le regole racchiuse nella L. n. 392/1978 costituiscono il punto di riferimento necessario per la determinazione della sanzione, secondo una precisa scelta legislativa che, come già spiegato, non può essere elusa con interpretazioni non aderenti a tale dato normativo di riferimento».

La tesi bizzarra del Tar Molise
In questo passaggio si è perso il Tar Molise, che dopo aver respinto l'analogia con il metodo del condono 1985 (per l'assenza di un riferimento esplicito a questa norma nel Dpr 380), arriva alla paradossale conclusione che nei casi di incremento di volumetria senza aumento di superficie il legislatore non ha previsto alcuna sanzione. «Nel caso di specie - ragionano infatti i giudici della Prima Sezione del Tar Molise (sentenza n.264/2015) - non risulta alcun indizio o circostanza né nel provvedimento gravato né negli ulteriori atti che l'incremento abusivo della volumetria si sia tradotto (ed in che misura) in un aumento anche della superficie abitabile, dovendosi invece ritenere preclusa, in assenza di specifiche previsioni, ogni trasformazione della cubatura abusiva in superficie convenzionale, salvo che si tratti di cubatura aggiuntiva di entità tale da costituire un nuovo piano abitabile ovvero che incrementi l'altezza di un piano esistente nella misura necessaria a renderlo concretamente abitabile».

La censura del Consiglio di Stato
A questa tesi singolare replica il secondo giudice affermando (insieme all'appellante) che «la legge sanziona ogni parziale difformità e non solo quelle relative ad incrementi di superficie e pertanto una difformità volumetrica non può ritenersi non sanzionata». Replica inoltre al Tar Molise che «l'aumento abusivo di volume determina senz'altro un aumento di valore dell'opera edilizia eseguita in parziale difformità; di conseguenza, escluderne la sanzionabilità si tradurrebbe nel consentire l'esecuzione di opere edilizie con maggiori altezze che incidano, di fatto, sul valore dell'immobile, pur non comportando alcun aumento di superficie».

Il metodo dei 3/5 e gli altri sistemi di calcolo
Tornando alla regola dei 3/5, il Consiglio di Stato osserva che il criterio adottato dal comune molisano «consente di "agganciare" le ipotesi di abusi consistenti in incrementi volumetrici alle regole dettate dalla L. n. 392/1978 alla quale la previsione di cui all'art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 rinvia». «Quest'ultima notazione - aggiungono i giudici - rende preferibile il meccanismo prescelto dall'Amministrazione rispetto alle ulteriori soluzioni sondate dal verificatore. Infatti, la relazione di verificazione dà atto della sussistenza di due ulteriori metodi. Il primo è esaminato dalla sentenza n. 3959/2009 del Tar per la Lombardia – sede di Milano che opera la moltiplicazione del costo di produzione per i metri cubi realizzati in eccesso, senza conversione in superficie. Tale soluzione non tiene, comunque, conto della differenza tecnica tra volume e superficie e risulta, quindi, meno preferibile rispetto all'elaborazione del Comune appellante che, come già spiegato, tempera le conseguenze sanzionatorie in ragione della diversità tra i due elementi fisici. Il meccanismo esaminato, invece, dal Tar per la Toscana nella sentenza n. 3495/1990 consiste nella riduzione del costo di produzione in misura proporzionale all'altezza illegittima concretamente rilevata partendo dalla misura di metri tre a cui è fissata l'altezza su cui si calcola tale costo. Questo meccanismo risulta, tuttavia, slegato da dati normativi e, in particolare, dalle regole di cui alla L. n. 392/1978 a cui la previsione di cui all'art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 rinvia».

In conclusione
«In sostanza - conclude Palazzo Spada - il percorso seguito dall'Amministrazione risulta maggiormente aderente sia alle previsioni legali contenute nella L. n. 392/1978 che alle necessità di tener conto della differenza tra superficie e volume modulando ed attenuando la pretesa punitiva senza, tuttavia, elidere la possibilità di sanzionare l'incremento volumetrico illegittimo che, per le ragioni spiegate supra, deve ritenersi non consentita dall'ordinamento. Del resto, la giurisprudenza di questo Consiglio impone di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto; affermazione che postula la necessità di non ridurre la determinazione del quantum ad una meccanicistica applicazione di criteri nei casi in cui, per la peculiarità della fattispecie, risulti, invece, necessario un temperamento degli stessi secondo principi di adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza. Principi che, nel caso di specie, si ritiene osservati dal Comune».
In sintesi:
1) la "conversione" della volumetria in superficie secondo la proporzione dei 3/5 mira ad adeguare la pretesa sanzionatoria al differente elemento fisico illegittimamente realizzato;
2) la riduzione insita nel criterio dei 3/5 realizza un temperamento della pretesa che tiene conto della diversità tra i due elementi anche sotto il differente incremento di valore che superficie e volumetria realizzano;
3) il criterio dei 3/5 non costituisce indebita applicazione analogica di previsione estranea all'ambito normativo in esame ma, come già evidenziato, un criterio tecnico ragionevolmente utilizzato dall'Amministrazione nell'ambito della propria discrezionalità al fine di "tradurre" nel caso concreto le previsioni di cui alla L. n. 392/1978.

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