Imprese

Fondo salva opere, Mims sia più rigoroso sui contributi dovuti dalle amministrazioni aggiudicatrici

Nella relazione sulla gestione 2019-2022, la Corte dei Conti segnala il rischio che i contributi che alimentano il fondo possano finire in perenzione

di Massimo Frontera

Il ministero delle Infrastrutture dovrebbe essere più rigoroso nel far rispettare il meccanismo di alimentazione del fondo salva opere, perché ad oggi non ha proceduto, per gli anni 2019-2022, alla riassegnazione delle somme sui pertinenti capitoli di spesa, per l'alimentazione del fondo stesso. È questo l'unico rilievo della Corte dei Conti che emerge dalla relazione sulla gestione di questa misura da parte del dicastero di Porta Pia nel periodo 2019-2022.

Come è noto, l'alimentazione del fondo prevista dalla norma istitutiva di questa misura di sostegno alle imprese in difficoltà, è dovuta al contributo dello 0,50% del valore finale dell'appalto a seguito dell'aggiudicazione, relativamente alle gare di lavori di da 200mila euro in su e a quelle di servizi e forniture da 100mila euro in su (a partire dal 30 giugno 2019). Per avere fin da subito una disponibilità economica tale da sostenere le numerose imprese subaffidatarie e subappaltatrici con cantieri incagliati a causa del fallimento dei rispettivi general contractor, il fondo ha ricevuto uno stanziamento iniziale di 12 milioni, cui sono seguiti ulteriori stanziamenti per un ammontare che si è decuplicato (complessivamente 122,5 milioni nel periodo 2019-2022). In altre parole, il funzionamento del fondo è stato assicurato soprattutto grazie ai periodici stanziamenti statali, e in misura pressoché nulla con il contributo dello 0,50% sulle gare aggiudicate. Contributo che le amministrazioni aggiudicatrici (o il general contractor) devono versare in conto entrata del bilancio dello Stato, per la successiva riassegnazione al capitolo di spesa 7011.

E qui entra in azione il ministero che deve verificare l'avvenuto versamento del contributo. E se il versamento manca, il ministero, entro 30 giorni dall'aggiudicazione definitiva, diffida la Pa (o il contraente generale) alla corresponsione dello stesso. La corte dei Conti dice che su questo compito di verifica e sollecito delle committenze, il Mims si è dato poco da fare. E anche se ha delegato tale compito a una società in house (Invitalia), questo non esonera il ministero dal garantire comunque il rispetto dell'adempimento. La corte dei Conti rileva infatti che «sia nella fase istruttoria sia in sede di contradditorio nel corso dell'adunanza del 1° giugno 2022, al momento, l'amministrazione non ha proceduto a richiedere la riassegnazione al pertinente capitolo di spesa del contributo versato in conto entrata del bilancio dello Stato». «Inoltre, non ha proceduto alla verifica della mancata corresponsione dello stesso contributo e, se del caso, alla conseguente diffida verso le amministrazioni inadempienti».

A preoccupare i magistrati contabili è il fatto che la mancata entrata a regime del meccanismo di alimentazione "automatico" del fondo possa rendere necessari ulteriori nuovi stanziamenti a carico del bilancio dello Stato. «La Sezione - conclude la delibera - chiede, pertanto, all'amministrazione di adottare tutte le iniziative necessarie, di intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, sia per assicurare la piena conoscenza dell'obbligo di versamento del contributo da parte delle amministrazioni interessate, sia per verificare l'effettiva corresponsione del contributo stesso da parte dei soggetti tenuti a tale adempimento, scongiurando eventuali ipotesi di prescrizione dei crediti, sia per richiedere la riassegnazione delle relative somme sul pertinente capitolo di spesa». «In particolare - aggiungono i magistrati contabili - l'amministrazione dovrà procedere in stretto raccordo con l'Ufficio centrale del bilancio presso il Mims al quale si rivolge la raccomandazione di esercitare tutte le attribuzioni di competenza. L'amministrazione, infatti, anche attraverso la piena utilizzazione di tale contributo, dovuto per legge, potrà garantire una maggiore copertura finanziaria per far fronte ai crediti riconosciuti, atteso che sia nel primo sia nel secondo piano di riparto si è manifestata una carenza di risorse sugli stanziamenti di bilancio».

Nessuna scusa per il fatto di aver delegato i compiti di verifica a Invitalia. «L'utilizzo da parte dell'amministrazione di una società in house per il supporto alla attività di verifica dei versamenti del contributo in parola - affermano i giudici - non esonera la stessa dall'esercitare le funzioni di propria competenza previste dalla normativa vigente, con le connesse responsabilità, volte a verificare la mancata corresponsione del contributo stesso e, se del caso, a esercitare la diffida verso i soggetti inadempienti, nonché a procedere alla richiesta di riassegnazione sul pertinente capitolo di spesa delle somme versate in contro entrata, al fine di garantire il pieno rispetto di tale modalità di alimentazione del Fondo».

Nulla da dire invece per il lavoro fatto dal ministero per realizzare la vera mission della norma sul fondo salva opere, cioè il ristoro delle imprese in difficoltà. Nonostante la difficoltà dovuta a un certo numero di imprese concordatarie di Astaldi che hanno causato una battuta d'arresto dell'intera procedura (oltre ad avviare un contenzioso con il Mims, tutt'ora in corso), la direzione generale del dicastero che ha gestito le procedure ha liquidato 44,8 milioni di euro entro il 2020 e oltre 64,3 milioni entro il 2021, per un totale di oltre 109,1 milioni di euro.

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