Urbanistica

Giovannini: «No a riforme generiche, opere del Recovery da semplificare»

Il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile: questo governo affronterà alcune emergenze ma aiuterà l'Italia a pensare al proprio futuro

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di Giorgio Santilli

«L'Italia ha sulle infrastrutture ritardi molto forti, che avevamo già segnalato nel 2009, quando lasciai l’Ocse. Sapevamo già allora che in questi anni si sarebbe dovuto investire grandi fondi per affrontare l’obsolescenza di infrastrutture costruite nel secondo dopoguerra». Perché si è fatto poco? «Questo ha a che fare con la scarsa capacità del nostro Paese di programmare a medio e lungo termine, di pensare il proprio futuro. Il Pnrr è una grande occasione, ma penso che servirebbe anche un Istituto sul futuro e sulla programmazione strategica. Questo governo farà alcune cose urgenti e importanti, ma penso anche che l’Italia, come già fatto da altri paesi, dovrebbe dotarsi di uno strumento per pensare a medio e lungo temine». Il ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, è alle prese con il Pnrr e con la semplificazione delle procedure, temi anche molto concreti, ma non rinuncia al pensiero lungo. E proprio da lì è partito, anche inserendo la sostenibilità nel nome del ministero.

Ministro Giovannini, che cosa è un’infrastruttura sostenibile?

Esiste già una definizione di infrastruttura sostenibile nella letteratura internazionale, soprattutto G20 e Ocse. Non è solo un’infrastruttura che dura, come dicono i francesi, ma è un’infrastruttura resiliente e sostenibile che si basa su sei punti: 1) l’infrastruttura produce effetti positivi per la collettività non solo di tipo economico, ma anche sociale; 2) è resiliente, cioè ha la capacità di resistere a possibili shock noti, come il terremoto, ma anche a nuovi shock, come il cambiamento climatico; 3) può essere resa compatibile con il rispetto dell’ambiente, come chiede lo stesso Pnrr, che impone il principio del ”do not significant harm”; 4) è condivisa dalla società, e qui c’è il tema del dibattito pubblico sul quale giovedì avvierò una commissione; 5) ha una governance efficace del processo, che eviti di impiegare – come facciamo in Italia - dieci anni per realizzarla; 6) infine, tiene conto dell’efficienza dell’investimento tenendo conto dell’intero ciclo di vita dei materiali, il che vuol dire usare materiali riciclabili. Nel mondo c’è già un movimento molto forte in questa direzione, ma anche l’Italia dispone di imprese eccellenti.

Nei panni di ministro è possibile tradurre questi principi in un piano che sia effettivamente sostenibile?

Per fortuna la commissione Ue aveva fatto questa scelta in modo molto chiaro fin dal suo insediamento, poi tradotto nel Pnrr. Non mi ha quindi stupito che tutti i Paesi siano stati chiamati a fare una programmazione diversa dal passato. L’Italia, con il ministro De Micheli, l’ha presa seriamente, e questo ci dà un vantaggio. Anche se abbiamo ancora alcune partite da chiarire con la Commissione proprio su cosa siano infrastrutture sostenibili.

Quali partite?

Attualmente, il divieto di finanziare la manutenzione delle strade si può derogare solo se il progetto accompagna processi di digitalizzazione per l’aumento della sicurezza. Ma noi riteniamo che ci sia una possibile eccezione per le aree interne dove, non essendo possibile costruire ferrovie Av o regionali, bisogna migliorare il sistema stradale per connetterle a punti di snodo di sistemi di mobilità più sostenibili. Ma la sfida principale del Paese è che il Pnrr impone a tutti di andare molto veloci.

Per l’approvazione al 30 aprile, anzitutto.

Certo, entro il 30 aprile dobbiamo presentare un Pnrr forte e credibile. Ma poi dal 1° maggio si tratta di realizzarlo: per questo, non aspetteremo il giudizio finale della commissione per avviare i progetti. Lì abbiamo la sfida principale perché non dobbiamo ridurre i tempi di realizzazione del 10%, ma li dobbiamo dimezzare, in quanto entro il 2026 non basta aver speso i soldi, me le tratte ferroviarie devono essere in esercizio, i porti migliorati, i sistemi di trasporto pubblico locali rinnovati. Questo è un aspetto nuovo imposto dalla Commissione: gli indicatori di risultato non sono infatti espressi in termini finanziari, ma in termini di autobus, stazioni ferroviarie, passeggeri chilometro, riduzione di Co2. E questo non è il modo in cui storicamente questo Ministero ha ragionato. Per questo ci siamo dati una struttura di progetto articolata in cinque teams proprio per giocare a tutto campo, compreso il monitoraggio dei risultati.

Per semplificare le procedure cosa sta facendo?

Proprio oggi ho insediato insieme al ministro Brunetta una commissione in cui sono presenti Corte dei Conti, Consiglio di Stato, Anac. Dobbiamo ragionare in primo luogo su come sono state applicate le norme approvate nell’ultimo biennio e poi immaginare percorsi particolari per le opere del Pnrr. In parallelo, abbiamo una commissione con i ministeri della Transizione ecologica e della Cultura per capire come alcuni processi, la valutazione di impatto ambientale, i pareri delle Sovrintendenze, i percorsi a livello ministeriale, possano essere efficientati.

Ha una idea di dove bisogna arrivare?

Il Ministero ha alcune idee, come ce l’hanno le forze politiche, i comuni, le regioni, le province, i comuni, le parti sociali, che sto incontrando proprio in questi giorni. Ma il problema è fare sintesi: sappiamo che ci sono punti di vista diversi, anche fra le forze politiche, con motivazioni tutte comprensibili. Quindi, la scelta che abbiamo fatto è stata di provare un percorso nuovo in cui ci sia interazione fra forze politiche e tecnici fin dall’inizio concentrandosi sul Pnrr, per poi vedere se alcune di queste procedure potranno essere estese ad altre opere. Intanto partiamo dalle necessità del Pnrr. Aggiungo che c’è un problema serio di capacità tecniche nella pubblica amministrazione, soprattutto a livello locale, come ha mostrato la Banca d’Italia. Perché se devo fare un progetto, non basta semplificare, devo avere comunque un ingegnere in grado di farlo.

I rischi di non farcela sono alti.

La buona notizia è che nel Pnrr ci sono progetti specifici già ben identificati: quindi, sappiamo quali saranno i soggetti attuatori. Possiamo quindi intervenire per rafforzare le stazioni appaltanti che saranno chiamate in causa. Questo è un vantaggio importante rispetto a un generico approccio “accelerazione delle opere”.

I commissari non sono la prassi, ha detto. Ci spiega meglio la sua posizione?

Dopo il commissariamento di 58 opere, per complessivi 40 miliardi già disponibili, abbiamo avviato una nuova ricognizione presso le stazioni appaltanti per capire dove i commissari possono essere una soluzione. I risultati andranno confrontati con i progetti del piano “Italia Veloce” e del Pnrr, e con le segnalazioni fatte dal Parlamento. Ma, ripeto, per ogni opera dobbiamo vedere qual è il punto che la sta bloccando. Soluzioni non generiche, ma puntuali. Aggiungo che se i commissari fossero l’unico modo per fare i lavori, ci dovremmo domandare il senso delle normative esistenti. Per fortuna non è così.

Lei entra nel tema del codice appalti. Si è fatto già un’idea?

Attendiamo l’esito del lavoro della commissione perché anche bisogna evitare generalizzazioni. Ci sono alcune norme che possono essere migliorate, così come va investito nella digitalizzazione delle diverse fasi contrattuali. Il focus per ora è la velocizzazione dell’attuazione del Pnrr.

Ci sono aree in cui il Pnrr va migliorato?

Tutti i ministeri si stanno impegnando in questo. La parte infrastrutturale finora è giudicata tra le migliori, anche perché è stata elaborata insieme ad eccellenze italiane, come Ferrovie e Anas, e avendo all’interno del Ministero la struttura tecnica di missione, che ha professionalità molto qualificate. Altri ministeri non hanno un’analoga struttura e hanno avuto più difficoltà. È una soluzione che potrebbe essere utile anche per altri ministeri.

Con i ministri Cingolani e Franceschini ha trovato una convergenza?

Una convergenza nel riconoscere, anche per la parte di loro competenza, che, se non interveniamo in qualche modo sugli aspetti procedurali, i tempi di realizzazione delle opere saranno difficilmente compatibili con la scadenza del 2026. Non vengono messi in discussione i principi di tutela ambientale e del paesaggio previsti dalla Costituzione. Ma sono possibili miglioramenti sulle procedure, anche rafforzando quelle strutture, centrali e periferiche, con risorse professionali.

Nel Pnrr si sono fondi sostitutivi e aggiuntivi. Qualche parlamentare ha chiesto che le risorse nazionale sostituite da fondi Ue possano essere messi a disposizioni della programmazione infrastrutturale. Questo tema si porrà nel Def?

Si pone sempre. Ricordo che il governo precedente aveva deciso di inserire opere finanziate con fondi nazionali per ridurre il peso del debito futuro. Questa è una valutazione che il governo farà prossimamente, in sede di preparazione del Def.

Cosa fare sulla rigenerazione urbana?

A legislazione vigente ci sono molti capitoli di spesa che vedono la città come reticolo su cui intervenire: i fondi sulle periferie, per casa Italia, per la mobilità sostenibile, ecc. I rapporti dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) mostrano come molte città in Europa e in Italia stanno già usando l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile per il coordinamento delle diverse politiche. Credo sia arrivato il momento di rafforzare questo coordinamento anche a livello di governo, magari con la ricostituzione del Cipu, il comitato interministeriale per le politiche urbane, che è competenza del ministro Gelmini. Quanto al mio Ministero, la nuova organizzazione consente di integrare questi diverse componenti, con la creazione del nuovo dipartimento sulla programmazione a medio lungo termine.

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