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Giustizia amministrativa e tributaria: il caso dell’applicazione della Tari alle attività agrituristiche

di Matteo Vagli (*) - Rubrica a cura di Anutel

Premessa

L’attività tributaria degli enti locali si muove tra approvazione di documenti generali e astratti (quali regolamenti istitutivi dei singoli tributi e aliquote/tariffe da applicare per ogni singola annualità) ed emanazione di singoli atti (quali avvisi di pagamento e avvisi di accertamento) con i quali viene data concreta attuazione a quanto disposto in via generale e astratta.

Questa duplice attività comporta, come noto, la sottomissione a due differenti giurisdizioni: qualora i contribuenti vogliano censurare immediatamente gli atti di approvazione/modifica di regolamenti o aliquote/tariffe potranno adire la giustizia amministrativa, mentre quando la censura verte su atti concreti e direttamente inviati al singolo contribuente il giudice competente è quello tributario.

Fermo restando le analogie e le differenze tra i due riti (entrambi hanno natura impugnatoria, ma mentre nel primo caso vi è la mera demolizione dell’atto impugnato, nel secondo si procede alla ricostruzione della fattispecie concreta su cui viene emesso il giudizio), l’elemento di snodo è dato dall’articolo 7, comma 5, del Dlgs 546/1992 laddove si dice che «Le Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente».

In base alla suddetta norma, le corti tributarie hanno, quindi, il potere di non applicare uno specifico Regolamento o aliquota deliberata dall’Ente locale qualora lo ritengano illegittimo, con l’unica eccezione della presenza di un giudicato amministrativo sulla norma da disapplicare.

La prassi ci ha insegnato che il ricorso al giudice tributario è decisamente molto più frequente e massiccio rispetto al giudizio amministrativo; tuttavia, possono verificarsi delle situazioni in cui le due magistrature sono chiamate a pronunciarsi sul medesimo argomento giungendo, magari, anche a delle conclusioni diverse.

L’applicazione della Tari agli agriturismi

Un esempio concreto di come si sono intrecciati giudizi provenienti dalla magistratura tributaria e da quella amministrativa è dato dalla individuazione della tariffa Tari da applicare alle aziende agrituristiche.

Accanto all’annoso problema della equiparazione alla tariffa alberghiera, a partire dall’anno 2020, con l’introduzione del Dlgs 116/2020 per le aziende agrituristiche si è aggiunto anche il dilemma della natura del rifiuto prodotto in quanto tutto quello che proviene dal mondo agricolo viene riportato sotto la categoria dei rifiuti speciali senza alcuna distinzione tra attività agricola in senso stretto e attività connesse quale quella di un agriturismo: stando, quindi, a una interpretazione meramente letterale, gli agriturismi, a partire dall’anno 2020, non dovrebbero più produrre rifiuti “urbani”, ma soltanto rifiuti “speciali” con tutte le conseguenze che ne conseguono sia in tema di smaltimento sia in tema di sottoposizione alla tariffa Tari.

È noto come il legislatore avrebbe dovuto superare il problema definendo rifiuti urbani quelli «prodotti da agriturismi, fattorie didattiche e spacci aziendali», ma il Dlgs 213/22, rubricato disposizioni integrative e correttive al Dlgs 116/2020 e pubblicato nella gazzetta ufficiale del 1° giugno 2023, non ha fatto alcuna menzione in merito lasciando aperto il problema.

La mancanza di questo correttivo è stata, in parte, colmata dalla giurisprudenza amministrativa e tributaria che, nel corso degli anni, si è pronunciata sia sul tema della giusta tariffa da applicare alle aziende agrituristiche sia sul fatto che queste aziende producano rifiuti la cui natura è “urbana” indipendentemente dal dettato normativo.

Mentre su quest’ultimo punto si può registrare una sostanziale identità di vedute, che si è mantenuta costante nel corso del tempo, per quanto riguarda la tipologia di tariffa da applicare si è assistito a una vera e propria evoluzione di pensiero che ha generato curiosi intrecci tra i vari giudizi.

La Giurisprudenza ante 2025

Molto significativa, per la sua chiarezza e linearità, è stata la sentenza n. 1162 del 19.02.2019 emessa dal Consiglio di Stato, sezione V, con la quale si è affermato il principio della illegittimità dell’assimilazione alla tariffa alberghiera per le aziende agrituristiche.

Fermo restando che «producendo propri rifiuti di tipo urbano, anche le attività agrituristiche restano assoggettate alla Tari», la differenziazione di condizione amministrativa e fiscale tra l’attività alberghiera e quella agrituristica impedisce, di fatto, una loro assimilazione dal punto di vista della applicazione della tariffa: «Nella pur necessaria imposizione della tassa, la previsione porta però alla necessaria differenziazione, tipologica e quantitativa, rispetto alle attività commerciali - che sono di altro ordine e natura - e non all’inclusione, vale a dire all’assimilazione».

Questa Sentenza con cui, appunto, si arriva ad annullare un atto generale e astratto i cui effetti ricadono su tutti i contribuenti di quel Comune risultato soccombente, ha fornito la base per la disapplicazione, da parte dei giudici tributari, di quelle delibere, non impugnate davanti al giudice amministrativo e, pertanto vigenti, che stabilivano l’assimilazione tra le tariffe alberghiere e quelle agrituristiche.

In questo senso vanno, infatti, la sentenza della Ctp di Pescara n. 202/02/2020, nonché la sentenza della Cgt di secondo grado dell’Umbria n. 68/1/2024.

Naturalmente, in questi casi, l’effetto demolitorio non varrà per tutte le situazioni analoghe in cui si trovano i contribuenti di quel Comune, ma soltanto nei confronti di quel contribuente che avrà impugnato l’avviso davanti al giudice tributario.

Nell’anno 2024 si possono registrare sul tema due importanti pronunce degli organi massimi della giustizia tributaria ed amministrativa.

Con l’ordinanza 23 febbraio 2024, n. 4938 la Suprema Corte ha espresso di nuovo il concetto per cui gli agriturismi producono rifiuti urbani e come tali sono assoggettabili alla tariffa (sia essa la Tia o la Tari poco cambia).

Il giudice regionale, tuttavia, avrebbe sbagliato la sua valutazione dichiarando l’illegittimità della assimilazione alla categoria alberghiera per il semplice fatto che il Comune, nel caso di specie, aveva creato una apposita categoria, la n. 31, applicabile alle strutture extra alberghiere quali agriturismi, affittacamere, residence.

Come poi questa categoria è stata creata e se la stessa rispettava i principi di “proporzionalità e ragionevolezza” non è stato oggetto di specifica impugnazione e come tale non può rientrare nel sindacato del giudice adito.

Si arriva, pertanto, a riconoscere in maniera implicita il divieto di assimilazione tra attività agrituristica e quella alberghiera in quanto la corte “ha salvato” il Comune perché ha creato una tariffa “ad hoc” non realizzando alcuna assimilazione e, conseguentemente, non cadendo in errore.

Con la sentenza 20 maggio 2024, n. 4478 il Consiglio di Stato, sezione V, si è espresso, invece, sia sul carattere immediatamente lesivo di una delibera che fissa tariffe per tutti gli utenti sia in merito alla necessità di prevedere una categoria specifica per le aziende agrituristiche.

Sotto il primo punto di vista è interessante il passaggio secondo cui «in particolare, le delibere che annualmente fissano le tariffe inerenti ai tributi locali vanno ritenute immediatamente lesive dei soggetti contribuenti per la particolare modalità esecutiva della corrispondente imposizione».

Il giudice ha continuato affermando che «A ciò si aggiunga che, per i tributi degli enti locali, la giurisdizione sugli atti applicativi è di spettanza del giudice tributario. Pertanto, a voler dare seguito all’impostazione ritenuta dal Tar della Campania – sezione Salerno, si determinerebbe il necessario sindacato su più atti amministrativi contestualmente affidato a differenti giurisdizioni, con evidenti diseconomie o anomalie ordinamentali complessive. Tra queste ultime va annoverata la potenziale elusione del sindacato del giudice amministrativo sugli atti tariffari generali, sostituito dalla disapplicazione degli stessi da parte del giudice tributario investito della controversia sugli atti di accertamento».

Sotto il secondo punto di vista, viene censurata l’equiparazione che è stata fatta non tanto con le attività alberghiere, ma con quelle di altre attività economiche quali campeggi, distributori di carburanti ed impianti sportivi sostenendo la necessità della creazione di una categoria ad hoc: «tuttavia, dovendo l’attività agrituristica ricondursi alla (pur non coincidente) attività agricola ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, la totale equiparazione operata dal Comune dell’attività agrituristica alle dette attività commerciali risulta effettivamente viziata. […] nella pur necessaria imposizione della tassa, riferita alla produzione di rifiuti urbani, è tuttavia richiesta la differenziazione, tipologica e quantitativa, rispetto alle attività commerciali - che sono di altro ordine e natura, non potendo addivenirsi all’inclusione, cioè alla sostanziale assimilazione, dell’agriturismo, che è un’attività economica a sé».

Dalle pronunce dei due massimi organi di giustizia amministrativa e tributaria si possono, pertanto, evincere i seguenti principi:

gli agriturismi producono rifiuti urbani e come tali sono assoggettabili alla Tari;

È necessario creare una tariffa ad hoc per questa tipologia di attività secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza, non essendo possibile l’assimilazione con altre categorie economiche, non soltanto quelle alberghiere.

La Giurisprudenza dell’anno 2025

La chiarezza dei principi sopra enunciati è stata ribaltata da due altre pronunce dei massimi organi di giustizia che sono giunti ad affermare l’esatto contrario di quanto fino ad ora sostenuto.

Con l’ordinanza 22 luglio 2025, n. 20581, la Corte di cassazione ha confermato la decisione assunta nei gradi precedenti con la seguente affermazione: «Ciò posto, la sentenza qui impugnata risulta incensurabile anche nella parte in cui condivide l’inquadramento dell’attività agrituristica, operata dal Comune, nelle utenze alberghiere - e non in quelle domestiche, come preteso dalla società contribuente - rilevando che essa “sotto il profilo quantitativo della suscettività a produrre rifiuti non è assimilabile a quella agricola e neppure alle unità abitative, perché molto più marcata” e che “dal punto di vista della qualità dei rifiuti prodotti dall’agriturismo con il settore degli alberghi”».

La Suprema Corte ha continuato affermando che «è chiaro che per le tipologie non previste espressamente, tocca al giudice verificare quale sia fra quelle disciplinate dalla normativa che governa la liquidazione della tassa sui rifiuti, quella che più si avvicina a quella oggetto di valutazione».

E a tal proposito la Corte ha citato un proprio precedente che, anche se datato e riferito alla Tarsu (si tratta infatti della Cassazione sezione 5, 10/08/2010, n. 18501), risulta pur sempre attuale e applicabile al caso di specie, ovvero l’effettivo utilizzo degli immobili «essendo irrilevante la classificazione catastale di essi ovvero la natura del contratto attributivo del godimento a favore dei non proprietari».

La conseguenza è che, quand’anche un soggetto privato conceda l’uso di un immobile con un contratto formalmente di locazione «ma con la previsione della prestazione di servizio tipica dell’attività alberghiera, quale il cambio della biancheria, la pulizia dei locali, la fornitura del materiale di consumo a fine igienico sanitario ed altri analoghi» la tariffa da applicare cambia così che «il giudice di appello, l’ha ritenuta più affine a quella alberghiera perché connotata da prestazioni simili, che comportano una “più marcata” capacità di produrre rifiuti».

A confutazione delle suddette conclusioni, non vale nemmeno citare la diversa valutazione che viene fatta tra attività agrituristica e attività alberghiera in materia di imposta di soggiorno: quest’ultima, infatti, «non solo ha un diverso soggetto passivo (colui che soggiorna nella struttura ricettiva), ma una finalità del tutto diversa dalla tassa sui rifiuti, essendo rivolta a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali». Per questo motivo risulta «ben possibile, dunque, che nella propria autonomia regolamentare, il Comune deliberi di imporre al soggetto passivo una tassazione diversa, a seconda del tipo di struttura ricettiva prescelta (alberghiera, agrituristica, privata eccetera), laddove, invece, in tema di tassazione per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ciò che conta è la capacità a produrre rifiuti, ciò consentendo il diverso inquadramento delle attività, in relazione alla natura ed al soggetto passivo del tributo».

Come risulta evidente, si ha una chiara inversione di rotta rispetto alle pronunce fino a qui esaminate: non solo il giudice tributario ha l’obbligo specifico di indicare la tariffa da applicare (non potendosi, quindi, limitare ad annullare l’avviso senza indicare quale categoria, tra quelle esistenti, va applicata al caso concreto), ma risulta anche perfettamente legittima l’attribuzione della categoria alberghiera in base alla tipologia di qualità e quantità di rifiuti prodotti, a nulla valendo ogni tipo di differenziazione amministrativa e fiscale tra le due tipologie di attività.

Fa eco a questa pronuncia anche la sentenza n. 7614 del 30 settembre 2025 del Consiglio di Stato, sezione V, la cui massima afferma che «Ai fini della Tari, l’equiparazione tra categorie tariffarie deve fondarsi esclusivamente sulla capacità (quantitativa e qualitativa) di produrre rifiuti urbani delle superfici tassabili. Ne consegue che l’attività agrituristica può essere assimilata a quella alberghiera quando, in concreto, presenta una potenzialità di produzione di rifiuti omogenea. Irrilevanti, a tali fini, la diversa disciplina di settore (turismo/agricoltura) e la natura dell’operatore».

In questo caso, l’inversione di rotta rispetto al passato risulta ancora più evidente se si considera che viene ribaltato il giudizio espresso in primo grado dal Tar Campania (Sentenza 171/2025) che aveva posto a fondamenta della sua decisione proprio la giurisprudenza amministrativa e tributaria sopra citata.

Tra le motivazioni che i giudici di palazzo Spada adducono vi sta anche il formale richiamo proprio all’ordinanza 20581/25 della Corte di cassazione, della quale riprende il contenuto.

Affermando, pertanto, che «L’assimilazione o la distinzione tra le categorie di attività assoggettate al tributo in materia di rifiuti urbani, come, nel caso di specie, tra attività di agriturismo e attività alberghiera, non può essere fondata sulle differenze di disciplina normativa cui le diverse attività sono assoggettate dall’ordinamento generale o sulla diversa natura giuridica dei soggetti che esercitano dette attività, come erroneamente ritenuto dalla sentenza appellata, ma va unicamente basata sulla capacità di produrre rifiuti».

Conclusioni

Queste ultime due pronunce segnano un punto fermo nella concreta applicazione della Tari sia perché pongono l’obbligo al giudice tributario di non limitarsi ad annullare il singolo avviso, ma a pronunciarsi sulla tariffa in concreto da applicarsi in sostituzione a quella ritenuta errata, sia perché ribadiscono che la Tari si applica solo ed esclusivamente in relazione alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti, a nulla valendo eventuali differenziazioni di regimi fiscali o amministrativi.

Ad oggi, quindi, è possibile affermare che alle aziende agrituristiche deve essere fatta pagare la Tari e che la tariffa applicata ben può essere quella alberghiera, a meno che l’ente non voglia creare una tariffa apposita.

Al termine di questa analisi, tuttavia, sorge spontaneo un quesito: ma se il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione avessero espresso due principi contrapposti e distinti soltanto mantenendo la propria originale posizione, quale dei due avrebbe trovato applicazione?

(*) Docente Anutel

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