Il dipendente che va in pensione può monetizzare le ferie non godute se non ha potuto fruirle per esigenze di servizio
La giustizia amministrativa offre un'apertura applicativa rispetto a quanto indicato dal ministero
Con la sentenza n. 7640/2021, la sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato ha affermato che il dipendente che non ha fruito di ferie residue alla data di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età ha diritto alla monetizzazione quando, in tempo utile rispetto alla cessazione dal servizio, abbia presentato istanze per la fruizione, ma siano state respinte dall'amministrazione per esigenze di servizio.
La vicenda, che riguarda un magistrato in pensione, ha un impatto rilevante su tutto il personale della pubblica amministrazione perché offre un'apertura delle disposizioni applicative, in ordine alla materia della monetizzazione delle ferie, fornite a suo tempo dai dicasteri competenti (da ultimo il parere della Funzione pubblica DFP n.76251/2020, su NT+ Enti locali & Edilizia del 15 marzo).
Il ricorrente chiedeva al proprio datore di lavoro la monetizzazione dei giorni di congedo ordinario non fruiti prima del suo collocamento a riposo per limiti di età (poco meno di cinquanta giorni), sul fondamento che egli aveva chiesto di poterne fruire ma si era visto sempre opporre dinieghi motivati da esigenze di servizio.
Il ministero della Giustizia ha negato la richiesta avanzata dal dipendente sulla base del tenore letterale dell'articolo 5, comma 8, del decreto legge 95/2012 (Spending review), dei pareri resi allora dal Dipartimento della Funzione pubblica, assentiti anche dalla Ragioneria generale dello Stato, nonché della linea interpretativa espressa dalla Corte costituzionale con sentenza 6 maggio 2016 n. 95.
La vicenda è arrivata sui tavoli della magistratura amministrativa. La pronuncia di primo grado ha accolto il ricorso presentato dal dipendente, ritenendo che la sopravvenuta impossibilità alla fruizione delle ferie, conseguente al collocamento a riposo d'ufficio, non fosse imputabile al dipendente. Così il dicastero ha promosso ricorso al Consiglio di Stato.
Per il Consiglio di Stato non è in contestazione l'interpretazione data dalla Corte costituzionale del divieto di monetizzazione delle ferie non godute, secondo cui esso si applica quando l'impossibilità a fruire delle ferie è correlata a un evento prevedibile incidente sul rapporto di impiego, come nel caso di collocamento a riposo d'ufficio, il quale consente di «programmare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore».
Nel caso di specie, la situazione è diversa. L'interessato, come è emerso dal dibattito processuale, si è attivato per fruire delle ferie residue, ma le sue istanze sono state rigettate dal datore di lavoro per ragioni di servizio.
Pertanto, si legge nella sentenza, il datore di lavoro pubblico che non abbia concesso il godimento delle ferie a causa del periodo lungo e continuativo richiesto e/o per l'assunzione di un incarico particolare in ragione di servizio, non può imputare al dipendente le conseguenze del rigetto, così come non può pretendere che il residuo ferie sia distribuito su un arco temporale più ampio, in ragione della durata del rapporto di lavoro.
Il dipendente che si sia attivato in tempi congrui e idonei per fruire delle ferie residue, tenendo presente la conosciuta data del collocamento a riposo, ha adempiuto a quanto di propria competenza; pertanto, se per ragioni organizzative e funzionali gli è stata negata l'astensione dal lavoro, gli compete il corrispondente economico dei giorni di ferie residui e non goduti.