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Il Mose funziona ma ha finito i soldi, l'allarme delle imprese: «Il consorzio non sta pagando»

Il Consorzio Venezia Nuova non riceve più dallo Stato tutti i trasferimenti che servono e di conseguenza i pochi incassi che arrivano bastano appena a pagare i 250 dipendenti

di Jacopo Giliberto

Il Mose funziona ma ha finito i soldi. Casse vuote. Sono in difficoltà le imprese che lavorano per completare le dighe mobili contro l’acqua alta. In qualche caso, sono in crisi.

Il Consorzio Venezia Nuova — il concessionario unico dello Stato messo sotto commissariamento pubblico dopo le scandalo di sette anni fa e da alcuni mesi gestito dal liquidatore Massimo Miani — non riceve più dallo Stato tutti i trasferimenti che servono e di conseguenza i pochi incassi che arrivano bastano appena a pagare i 250 dipendenti e a far funzionare in assetto d’emergenza le paratoie a scomparsa, ma non riescono a pagare le aziende che lavorano per completare l’ultima parte dell’opera colossale. Pare che l’arretrato ammonti a 200 milioni, cifra confermata dalle parti interessate.

Rischio di chiusura

Alcune aziende sono davanti alla minaccia del concordato o della chiusura definitiva. Lunedì, nove imprese minori aderenti al consorzio hanno scritto una lettera dai toni formali ma dai contenuti della disperazione al prefetto Vittorio Zappalorto, e per conoscenza al commissario liquidatore Miani, alla commissaria straordinaria del Mose Elisabetta Spitz e alla provveditrice alle opere pubbliche Cinzia Zincone. Ma in difficoltà non c’è il solo gruppo compatto delle piccole e medie aziende consorziate.

Cantieri fermi

Ecco la friulana Cimolai: su una commessa di 29 milioni ha ricevuto solamente 5,8 milioni di anticipo, e se li faccia bastare (è stato detto all’azienda) che non ci sono altri soldi. Se non arriva il saldo, 100 persone andranno in cassa integrazione e il cantiere si fermerà. A Monfalcone la Cimolai sta finendo il colossale portale alto 16 metri e largo 54 che dovrà sostituire una chiusa progettata male dai precedenti costruttori. Senza questo lavoro, i pescherecci e le navi minori non potranno rientrare in laguna in caso di tempesta quando le paratoie del Mose saranno in funzione.

Aveva minacciato di fermare i lavori anche il colosso multinazionale Abb per l’impiantistica del Mose.

Non si sblocca la gara per assegnare la manutenzione delle dighe mobili del tratto di Treporti, le più vecchie e bisognose di risistemazione. Non decolla il partenariato per studiare e sviluppare cerniere migliori rispetto a quelle del Mose di oggi.

Sono segnali che convergono tutti su una domanda: il Mose oggi funziona, ma come si potrà farlo funzionare in futuro? Secondo quesito correlato: qualcuno sta lavorando a quota periscopica per emergere presto con una proposta irrinunciabile come salvatore del Mose e di Venezia?

Uno sblocco potrà arrivare a metà mese, quando sarebbero convocati i ministri del Cipe, anzi Cipess (il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha aggiunto nel nome lo Sviluppo Sostenibile).

Interregno tra vecchio e nuovo

Si dice che l’arretrato da saldare sia arrivato sui 200 milioni. Un arretrato che nasce di lontano, dall’inchiesta che nel 2014 aveva smontato il sistema di sprechi babilonesi.

Per rimediare al passato dissoluto i tre commissari precedenti (Francesco Ossola e Giuseppe Fiengo, in un primo tempo affiancati da Luigi Magistro) avevano messo toppe e tirato coperte cortissime mentre spingevano sui lavori, ora quasi conclusi. Il Mose è quasi finito, funziona già in caso d’emergenza e il Consorzio che l’ha costruito è in liquidazione. Ma non c’è ancora chi gestirà il Mose funzionante in via ordinaria.

Il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni più svariati.

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