Appalti

Il no all'anticipazione del 30% del «Cura Italia» non legittima la mancata stipula del contratto

É una facoltà esercitabile dalla stazione appaltante compatibilmente con le risorse stanziate

di Stefano Usai

Il rifiuto della stazione appaltante di concedere l'anticipazione sul valore del contratto nella misura del 30%, secondo l'incremento previsto dal Dl 18/2020, non può costituire legittima causa per il rifiuto, dell'appaltatore, di stipulare il contratto trattandosi di una mera facoltà dell'amministrazione. In questi termini si è epresso il Tar Lombardia, Milano, con la sentenza n. 1052/2021.

Il caso
Le censure del ricorso vengono fondate sulla pretesa legittimtà del rifiuto alla stipula del contratto a causa della indisponibilità della stazione appaltante di apportare modifiche contrattuali «rese necessarie da sopravvenienze normative legate all'emergenza sanitaria». Nel dettaglio, si è contestata la decisione di non riconoscere maggiori costi causati dall'emergenza sanitaria (come previsto nella legge 120/2020, articolo 8, comma 4 lettera a)), l'indisponibilità a riconoscere l'anticipazione nella misura del 30% (invece che del 20%) come da previsione contenuta nell'articolo 207 del Dl 34/2020 convertito dalla legge 77/2020, altresì la mancata applicazione del disposto di cui all'articolo 91 della legge 27/2020 che "stempera" la responsabiltà dell'appaltatore nel caso di difficoltà nel rispetto delle misure di contenimento dell'emergenza sanitaria.
Infine, il ricorrente ha censurato la stessa possibilità della stazione appaltante di revocare l'aggiudicazione una volta spirato il termine per la stipula del contratto come previsto dall'articolo 32, comma 8 del Codice dei contratti.

La sentenza
Il giudice non ha condiviso nessuna censura ritenendo legittimo l'operato della stazione appaltante. L'appalto risultava bandito prima delle prerogative introdotte con il Dl 76/2020 e che il comma 1 dell'articolo 8 subordina il riconoscimento die maggiori costi ivi indicati, «ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del D.L. n. 76/2020, e cioè, al 16.7.2020, non essendo quindi applicabile alla fattispecie per cui è causa».
Sulla possibilità, poi, di applicare la prerogativa introdotta, e poi integrata in fase di conversione con la legge 27/2020, dal Dl 18/2020 ovvero la possibilità di valutare il rispetto delle misure di contenimento di cui allo stesso provvedimento «ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilita' del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti», la ricorrente non ha fornito prove/dati sufficienti sulla propria condizione patrimoniale «tale da precluderle l'esecuzione del contratto, limitandosi invece, del tutto genericamente, a richiamare lo stato di emergenza sanitario».
Sulla non concessa anticipazione nella misura del 30%, il giudice rammenta come si sia in presenza di una facoltà introdotta dal Dl 18/2020. L'articolo 207, infatti, non configura un diritto, quanto invece, una facoltà esercitabile dalla stazione appaltante «nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento a disposizione».
Infine, di rilievo è la statuizione sul potere della stazione appaltante di revocare l'aggiudicazione anche una volta spirato il termine che vincola l'offerta (articolo 32, comma 8 del Codice). In sentenza si legge che «diversamente da quanto sostenuto dall'istante, detta norma si limita a riconoscere all'aggiudicatario la facoltà di sciogliersi dal vincolo contrattuale, nel termine ivi indicato, senza invece imporre alla stazione appaltante alcun divieto di revoca dell'aggiudicazione». Pertanto, il riconoscimento del potere di revoca dell'aggiudicazione definitiva, esercitato prima della stipula del contratto, è un dato incontestato anche in giurisprudenza (CdS, Sezione V, 31.12.2014, n. 6455, 13.3.2017 n. 1138, 22.8.2019, n. 5780).

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