Il paradosso dell’acqua: a Enna (663 euro) costa più del triplo di Milano
Nel nuovo Rapporto Ircaf i disallineamenti fra livelli tariffarie qualità del servizio: la spesa più alta è a Sud dove gli standard sono inferiori
Quest’anno la famiglia tipo spenderà per il servizio idrico pochi spiccioli meno di 379 euro. La bolletta, misurata su tre persone con un consumo annuo di 150 metri cubi di acqua, segna un aumento del 72,8% rispetto al 2011 e del 28,4% sul 2017, mentre nel confronto con dodici mesi fa l’incremento si ferma a un +4,3 per cento. Ma mai come per questo settore la media di Trilussa rischia di essere fuorviante, perché nasconde al proprio interno realtà enormemente distanti fra loro: a Frosinone, che quest’anno si piazza alla vetta della classifica costruita sull’importo medio della bolletta, si pagherà poco più di 666 euro, cioè quasi il doppio della media nazionale e 4,71 volte i 141 euro chiesti a Cosenza, la città dove l’acqua è più a buon mercato.
La nuova versione del Rapporto annuale su tariffe, qualità e investimenti nel servizio idrico - che il centro studi Ircaf presenterà oggi a Mantova - fotografano in modo efficace l’evoluzione di un settore che da anni è al centro di un dibattito accesissimo sul concetto di «acqua pubblica» ma è anche distratto sugli sviluppi reali di una regolazione che deve puntare tutto sugli investimenti in questi tempi complicati che incrociano le opportunità del Pnrr con i rischi di una crisi idrica sempre più grave.
La questione si fa particolarmente grave in un Paese che secondo i dati dell’Istat perde ancora il 36,2% dell’acqua che immette in rete. In valori assoluti il dato si fa ancora più impressionante: si tratta di 900 milioni di metri cubi, e tradotto in termini ancora più diretti significa che per ogni italiano si perdono 15mila litri di acqua ogni anno, 41 al giorno.
Gli investimenti per chiudere queste falle e per portare il servizio di depurazione che ancora manca in 296 Comuni dove abitano 1,3 milioni di italiani - in una situazione incredibile per un Paese europeo nel 2023 - sono ovviamente cruciali. E altrettanto ovviamente costano. La vivacità delle tariffe idriche vissuta negli ultimi anni si spiega anche così, e va inquadrata nel contesto di un settore che per decenni ha vissuto su un compromesso al ribasso fra costi ultraleggeri e livelli qualitativi scarsi.
Ma quando i costi si impennano è indispensabile capire se la loro dinamica così vivace è allineata a un incremento effettivo degli sforzi finanziari per migliorare le performance del servizio. Il momento è quello giusto, perché la corsa si è attenuata quest’anno con un aumento tariffario medio del 4,3% che si è quindi fermato molto sotto all’inflazione, e disegna di conseguenza uno scenario in stabilizzazione. Ma su quali risultati? Qui le cose si complicano. Perché per esempio Milano, una delle città con un tasso di perdite dimezzato rispetto alla media nazionale, chiede alla famiglia tipo 214 euro all’anno, mentre a Enna con gli stessi consumi la cifra scritta in bolletta è di 663 euro.
Per fare ordine in questa girandola di cifre l’analisi dell’Ircaf incrocia i livelli tariffari con gli standard di qualità tecnica (perdite, interruzioni eccetera) e contrattuale (tempi di risposta ai reclami, rimborsi e così via) del servizio misurati in base ai parametri che guidano la regolazione di Arera. E spesso gli indicatori seguono strade differenti.
Nelle regioni meridionali la spesa media è sostanzialmente allineata alla media nazionale, a differenza dei livelli qualitativi che invece viaggiano ancora drasticamente sotto. Il panorama è opposto a Nord Ovest, dove le tariffe sono molto più leggere della media mentre il livello di servizio è superiore sia sul piano tecnico sia su quello contrattuale. Il picco nella gestione dei rapporti con l’utenza si incontra a Nordest, dove le bollette sono un po’ più contenute rispetto alla media. Mentre le regioni del Centro uniscono a una spesa pesante una qualità in linea con le performance complessive nazionali.
Un certo disallineamento fra costi e risultati del servizio si può spiegare con i tempi tecnici degli investimenti, che vanno finanziati all’avvio ma fanno sentire i propri effetti solo dopo che sono conclusi. La questione riguarda in particolare il Mezzogiorno, che per colmare il gap deve però aumentare decisamente il tasso di realizzazione delle spese programmate: soprattutto ora nel quadro dominato dai fondi comunitari del Pnrr.