Il Pnrr e la macchina del tempo (in retromarcia) dei progetti
Draghi o non Draghi noi arriveremo a Roma, malgrado voi. Prendendo a prestito Antonello Venditti, vuole essere l'augurio di realizzare il massimo con le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, messe a terra per fine dicembre 2026. A che il nostro Paese per tale data sia pieno zeppo di infrastrutture strategiche.
Peccato che il massimo dei progetti che sono in campo con il Pnrr corrisponda alla realizzazione di quelli vecchi di oltre 21 anni. Infatti, la gran parte di essi (ben oltre il 95%) risalgono - quanto a patrimonio infrastrutturale, pubblico e privato, e ad insediamenti produttivi godibili sul piano dell'efficienza dei servizi - agli interventi approvati con una delibera del Cipe della fine del 2001. Esattamente la n. 121 del 21 dicembre, con allora Giulio Tremonti ministro dell'Economia e finanze.
Insomma, le risorse di oggi riprendono ciò che non è stato fatto da allora, relativamente a trasporti in generale, a sfruttamento e tutela dell'idrico in tutte le sue destinazioni, a salvaguardia dal dissesto idro-geologico, all'energetico e alle telecomunicazioni. Tanta previsione retrò.
A valle del finanziamento relativo, ci saranno: le progettazioni, l'esecuzione delle opere, le liquidazioni degli stati di avanzamento lavori. Il tutto sotto la direzione e controllo del direttore dei lavori che dovrà rendersi vigile del rispetto delle scadenze dei termini, segnatamente stringenti, il cui mancato rispetto produrrebbe effetti decadenziali.
In mezzo a tutto questo, tra programmazione vintage e percorso realizzativo a ostacoli, ci sono i compiti della burocrazia, sia riferiti alle attività preparatorie che a quelle rendicontative, in grado di attivare i Sal ricorrenti per andare via via a traguardo.
Due, gli ulteriori problemi, entrambi determinanti per il buon esito del Pnrr. Da una parte quello che dovrebbe risolversi con la cessazione delle ostilità umane e biologiche. Più precisamente: quella che produce morti e nefandezze in Ucraina e quella del redivivo Covid, che tarda a sparire dal catalogo delle paure degli italiani, ove risiede al primo posto. Dall'altra, il raddoppio dei prezzi delle merci, causato dalla guerra dei gas e delle speculazioni conseguenti, e la naturale inflazione galoppante che porta a spendere in moneta energetica, oramai alle stelle, quanto disponibile in euro, oramai nelle stalle perché messo sotto scacco da un mercato oramai schizofrenico, nel quale chiunque cerca di fare la cresta. Facendo quasi la borsa nera con ciò che ha da vendere.
Il Mezzogiorno dovrà lavorare più di ovunque. Troppo piena di gap la sua burocrazia, a piccoli tratti eccellente e nella generalità inefficiente più che altrove. In larga parte permeabile alle mafie che occupano abitualmente le istituzioni territoriali, soffocando le economie non solo locali e infiltrando i siti delle decisioni politiche, arrivando a compromettere la formazione dei provvedimenti amministrativi. Spesso anche pretendendo leggi dalla ratio corrotta.
Del resto, la ricerca governativa di migliaia di esperti cui affidare la gestione burocratica e tecnica del Pnrr non darà chissà quale mano, non è stata fatta come Dio comanda. Si è fatto ricorso, infatti, a imponenti selezioni ma francamente non garanti del migliore risultato, sul piano dei saperi dei prescelti. Per non parlare delle esperienze utili non possedute dai vincitori dei bandi nello specifico senso richiesto dall'importante impegno da affrontare.
Si spera tuttavia nel buon esito della New Generation Eu in salsa nostrana. Ciò per cambiare quel mondo che a fatica chiunque suppone di non ritenere accettabile per i propri figli.
La legge Calderoli e l’eterno ritorno del residuo fiscale
di Floriana Cerniglia (*)