Il Tar annulla il contratto e dà l'ok al subentro? La Pa può fermare l'appalto
Consiglio di Stato: l'accoglimento della domanda di subentro del ricorrente non equivale alla stipula di un contratto
La sentenza del giudice amministrativo che annulla l'aggiudicazione e dichiara inefficace il contratto stipulato con l'aggiudicatario, anche nel caso in cui abbia accertato la possibilità di subentrare nel contratto stesso da parte del ricorrente a seguito di esplicita domanda di quest'ultimo, non costituisce il vincolo contrattuale con il ricorrente medesimo (secondo classificato). È infatti sempre necessaria a tal fine la stipula di un nuovo contratto da parte dell'ente appaltante.
Di conseguenza, qualora in relazione a eventi sopravvenuti l'ente appaltante non intenda più dare seguito all'esecuzione dei lavori oggetto di affidamento, può legittimamente procedere alla revoca dell'aggiudicazione formalizzata in capo al ricorrente, non sussistendo le condizioni per esercitare il diritto di recesso, che presuppone appunto l'esistenza di un contratto.
Sono queste le interessanti affermazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 3 maggio 2021, n. 3458, che chiarisce alcuni passaggi essenziali del complesso iter procedurale che il Codice dei contratti pubblici delinea ai fini della conclusione del contratto, successivamente all'intervenuta aggiudicazione.
Il fatto
Una centrale unica di committenza aveva indetto una procedura di gara per l'affidamento di un appalto integrato per la realizzazione di lavori funzionali alla creazione di un centro di accoglienza per immigrati.
A valle dell'aggiudicazione il concorrente secondo classificato proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo. Il ricorso veniva respinto in primo grado; contro la sentenza del Tar il ricorrente originario ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato.
Il giudice di secondo grado ha accolto l'appello, annullando il provvedimento di aggiudicazione e dichiarando conseguentemente l'inefficacia del contratto di appalto stipulato dall'ente committente con l'originario aggiudicatario, nonché disponendo il subentro nello stesso del ricorrente, secondo classificato.
Sulla base di questa pronuncia il ricorrente sollecitava l'ente appaltante affinché desse esecuzione agli adempimenti imposti dalla stessa, in particolare al subentro nel contratto.
L'ente appaltante, tuttavia, replicava che nel frattempo la Prefettura competente - con cui il medesimo ente aveva stipulato un accordo per la realizzazione del centro di accoglienza dei migranti che prevedeva anche il finanziamento dei relativi lavori - aveva comunicato la volontà di recedere da detto accordo, a seguito delle mutate esigenze di interesse pubblico collegate a una netta contrazione dei flussi migratori.
A fronte di questa comunicazione dell'ente appaltante il concorrente proponeva un nuovo ricorso davanti al giudice amministrativo, richiedendo l'annullamento della comunicazione dell'ente appaltante nonché il risarcimento del danno per lesione di interesse legittimo ovvero per responsabilità precontrattuale.
Il Tar respingeva il ricorso, ritenendo che il subentro disposto dalla pronuncia del Consiglio di Stato era la diretta conseguenza dell'annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ma non poteva in alcun modo comportare il perfezionamento del relativo vincolo contrattuale. Contro questa decisione del giudice di primo grado il concorrente proponeva un nuovo appello davanti al Consiglio di Stato sollevando alcune censure che sono state esaminate con la pronuncia in commento.
La domanda di subentro nel contratto e la creazione del vincolo contrattuale
La tesi di fondo proposta dal ricorrente volta a contestare la decisione assunta dal Tar è riassumibile nei termini seguenti: l'accoglimento da parte del giudice della domanda di subentro formulata dal ricorrente – conseguente all'annullamento del provvedimento di aggiudicazione e alla dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato con l'originario aggiudicatario - se non accompagnata dalla previsione di specifici adempimenti a carico dell'ente appaltante, comporterebbe la costituzione del vincolo contrattuale tra l'ente appaltante e il ricorrente.
Il Consiglio di Stato ha rigettato questa ricostruzione. A supporto di questa posizione il massimo giudice amministrativo ricorda in via preliminare che l'unica ipotesi prevista dal nostro ordinamento in cui vi è una sentenza che produce gli effetti del contratto è quella disciplinata dall'articolo 2932 del codice civile. Questa ipotesi, tuttavia, presuppone che vi sia una vera e propria obbligazione della parte che viene chiamata in giudizio a concludere il contratto. Ma non è questa la condizione in cui si trova l'ente appaltante, anche qualora vi sia stata una pronuncia del giudice amministrativo che abbia annullato l'aggiudicazione e contestualmente disposto l'inefficacia del contratto stipulato con l'aggiudicatario originario e il subentro del ricorrente.
Ciò in quanto le disposizioni del D.lgs. 50/2016 che disciplinano le fasi della procedura di affidamento escludono che l'ente appaltante, anche quando abbia proceduto all'individuazione dell'aggiudicatario, sia obbligato a concludere il contratto con lo stesso.
In particolare l'articolo 32, comma 8 del D.lgs. 50 prevede che, una volta divenuta efficace l'aggiudicazione definitiva – a seguito della verifica dei requisiti dell'aggiudicatario – l'ente appaltante proceda alla stipulazione del contratto di appalto, fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti. Non vi è quindi un obbligo, ma un adempimento procedurale che può essere eventualmente non assolto qualora sussistano le condizioni per revocare l'aggiudicazione. A rafforzare questo concetto interviene la previsione del comma 6, secondo cui l'aggiudicazione non equivale ad accettazione dell'offerta.
L'insieme di queste disposizioni rende evidente che il provvedimento di aggiudicazione non è di per sé idoneo a instaurare un rapporto obbligatorio – né tanto meno un vincolo contrattuale – tra ente appaltante e aggiudicatario. Né fa sorgere in capo a quest'ultimo un vero e proprio diritto soggettivo alla conclusione del contratto, cui corrisponderebbe un'obbligazione a concludere il contratto in capo all'ente appaltante. Proprio dall'inesistenza di una tale obbligazione deriva l'impossibilità per l'aggiudicatario di attivare il rimedio dell'articolo 2932 del codice civile, che presuppone appunto che l'obbligo alla conclusione del contratto sussista in maniera incondizionata. E tale rimedio, conseguentemente, non può essere attivato non solo davanti al giudice amministrativo – che sarebbe comunque carente di giurisdizione, ancorchè esclusiva – ma neanche di fronte al giudice ordinario.
In sostanza, il provvedimento di aggiudicazione fa sorgere in capo al destinatario una posizione di interesse legittimo, rispetto al quale l'ente appaltante ha l'onere di provvedere agli adempimenti procedurali conseguenti. Ma questo onere non si traduce in un vero e proprio obbligo a contrarre, tanto che la stessa norma consente all'ente appaltante di esercitare i poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti.
Ne consegue che la sentenza del giudice amministrativo che annulla l'aggiudicazione, dichiara l'inefficacia del contratto originario e dispone il subentro del ricorrente precostituisce in capo a quest'ultimo una posizione di interesse legittimo, che coincide appunto con la posizione di interesse legittimo che – come visto subito sopra - ha l'aggiudicatario di una gara.
In definitiva, la richiamata pronuncia del giudice amministrativo priva di efficacia il contratto stipulato con l'aggiudicatario in virtù di una aggiudicazione ritenuta illegittima, ma non ha efficacia costitutiva del nuovo contratto con il ricorrente, cui va riconosciuta esclusivamente una posizione di interesse legittimo alla conclusione del nuovo contratto, nei termini sopra indicati.
Il potere di revoca dell'aggiudicazione
Le conclusioni in merito agli effetti e ai limiti della sentenza del giudice amministrativo comportano che, non essendoci un contratto validamente costituito, l'ente appaltante, ai fini di svincolarsi dagli impegni esistenti nei confronti del nuovo aggiudicatario non avrebbe dovuto – né potuto – ricorrere all'esercizio del diritto di recesso, che presuppone appunto un vincolo contrattuale in essere.
Al contrario, l'ente appaltante ha fatto ricorso al potere di revoca dell'aggiudicazione e dell'intera procedura di gara, che sia il giudice di primo grado che il Consiglio di Stato hanno ritenuto essere stata esercitata secondo criteri di legittimità.
Hanno infatti rilevato i giudici amministrativi che l'ente appaltante aveva indetto la procedura di gara sulla base dei reciproci impegni assunti con l'accordo stipulato con la Prefettura ai fini della realizzazione del centro accoglienza dei migranti. Una volta che la Prefettura ha receduto da tale accordo, risulta evidente che non residuava più alcun interesse pubblico dell'ente appaltante a dar seguito agli esiti della procedura di gara e alla conseguente stipula del contratto di appalto per l'esecuzione dei lavori funzionali alla realizzazione del centro accoglienza.
D'altronde, l'ente appaltante aveva evidenziato già negli atti di gara l'insindacabile collegamento tra le finalità della procedura di gara e gli impegni assunti dallo stesso in virtù dell'accordo concluso con la Prefettura. Con la conseguenza che, venuto meno tale accordo e i conseguenti impegni a seguito di una decisione unilaterale della Prefettura, non vi era più alcun concreto interesse dell'ente appaltante alla realizzazione del centro accoglienza. Con l'ulteriore conseguenza che si è determinato quel mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'indizione della gara che ha comportato una rivalutazione dell'interesse pubblico e il correlato legittimo esercizio del potere di revoca.