Amministratori

Illegittima la delibera consiliare che liquida la partecipata senza istruttoria

L'utilizzo di personale distaccato nelle partecipate può assolvere la necessita di non avere uno squilibrio numerico tra amministratori e dipendenti

di Michele Nico

La mancanza nella relazione tecnica dell'evidenza di un percorso istruttorio e motivazionale volto a supportare la scelta del Comune di porre in liquidazione una propria partecipata rende illegittima la decisione.
Con la sentenza n. 964/2022 il Tar Sicilia, Catania, Sezione I, su istanza di una società in house, ha annullato la delibera di revisione periodica con cui il Comune socio aveva messo in liquidazione la partecipata nell'ambito del processo di razionalizzazione previsto dall'articolo 20, secondo comma, lettera b), del Dlgs 175/2016 (Tusp).

Il Collegio nell'accogliere il ricorso della società ha ritenuto che la delibera consiliare dell'ente locale abbia violato il disposto del Tusp incorrendo nelle fattispecie del difetto di motivazione, dell'eccesso di potere per carenza di istruttoria e per travisamento dei fatti.

Il caso
Nel 2019 un Comune ha approvato la costituzione di una società in house a socio unico, operante nel settore della gestione del patrimonio immobiliare, delle reti e degli impianti ai servizi pubblici locali.
A distanza di poco tempo il Consiglio comunale con la delibera n. 692/2021, in sede di revisione periodica delle partecipate, è ritornato sui suoi passi e ha disposto la messa in liquidazione della società prevista dall'articolo 20, secondo comma, lettera b), del Dlgs 175/2016 (Tusp), che ha imposto la necessità di procedere alla razionalizzazione delle "società che risultino prive di dipendenti o che abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti".

Il difetto di istruttoria
Nell'impugnare la delibera la società ricorrente ha eccepito in primo luogo l'erronea applicazione del suddetto disposto in quanto, nonostante la propria carenza di personale in organico, essa aveva da sempre svolto la propria attività fruendo di personale distaccato e comandato da altre società partecipate del Comune, con retribuzioni a carico della società stessa.
Una siffatta obiezione è stata recentemente corroborata dalla giurisprudenza contabile, secondo cui "l'utilizzo effettivo presso la società di risorse umane nella forma di dipendenti distaccati non sembra apparire in contrasto con la finalità del parametro legislativo espresso dalla lett. b), inteso ad individuare, nell'assenza di dipendenti o nell'esorbitanza del numero di amministratori rispetto ai dipendenti, un elemento di inefficienza aziendale, determinante la necessità di razionalizzazione" (Corte dei Conti. Sezione di controllo Emilia Romagna, delibera n. 97/2021/PAR).
In aggiunta a ciò, la delibera di razionalizzazione è stata ritenuta illegittima dal Tar per difetto di istruttoria.
I giudici hanno osservato, nello specifico, che la delibera impugnata è stata approvata dal Comune con un emendamento consiliare, per effetto del quale nella proposta originaria il testo "non si prevedono interventi di razionalizzazione" è stato sostituito con il testo "messa in liquidazione ai sensi dell'art. 20, comma 2, lettera b) del Tusp", senza però un'accurata analisi delle ragioni di questa variazione.
Questo emendamento, ancorché munito di pareri favorevoli dei responsabili e del collegio dei revisori, è stato quindi inserito nella delibera senza il corredo di un percorso istruttorio e motivazionale volto a supportare la diversa scelta assunta dal Comune.
Il collegio ha censurato pesantemente questo modo di procedere e ha annullato la delibera impugnata, in quanto la scelta del Comune avrebbe dovuto essere esternata con apposita motivazione da inserire nella relazione tecnica, come appunto prevede l'articolo 20, comma 2, del Dlgs 175/2016.

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