I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Immobili degli enti ecclesiastici e Imu secondo la Cassazione

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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

La sentenza della Corte di cassazione n. 17679 del 26/06/2024 ha fornito degli interessanti chiarimenti sul trattamento Imu di alcuni immobili utilizzati dagli enti ecclesiastici.

La questione affrontata attiene all’applicabilità dell’esenzione dall’Imu prevista dalla lettera g) del comma 759 dell’articolo 1 della legge 160/2019, in favore degli immobili posseduti e direttamente utilizzati da enti non commerciali (articolo 73, comma 1, lettera c), del Tuir) per lo svolgimento di una serie di attività agevolate (educative, ricreative, sportive, culturali, eccerera), con modalità non commerciali. L’esenzione riguarda anche gli immobili utilizzati per lo svolgimento delle attività previste dall’articolo 16, lettera a, della legge 20 maggio 1985, n. 222, in base alla quale: «Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana (...)». Uno dei requisiti richiesti dalla norma è che l’attività sia svolta con modalità non commerciali, ossia in forma gratuita o con corrispettivi simbolici che rappresentino una parziale copertura dei costi (corrispettivi che, secondo il Dm 200/2012, in molti casi devono essere comunque inferiori alla metà della media dei corrispettivi di mercato per le relative attività). Le attività religiose e di culto, secondo la Corte, in senso stretto non hanno di per sé natura commerciale, dovendo escludersi in re ipsa il perseguimento di una finalità speculativa o lucrativa; ciò in quanto non è logicamente concepibile lo svolgimento di un’attività di religione o di culto con modalità commerciali; nel senso, cioè, che la sussistenza di un profilo remuneratorio esclude, in radice, la stessa configurabilità di una pratica religiosa o cultuale.

Alla disposizione sopra citata va ad aggiungersi l’esenzione prevista dalla lettera d) del medesimo comma 759, in favore dei fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione e le loro pertinenze.

Ciò premesso la controversia affrontata dalla Corte riguarda una serie di immobili posseduti da un ente religioso e il loro assoggettamento a Imu. La Corte precisa che sono pertinenza degli edifici destinati al culto, oltre all’oratorio, anche i locali destinati alle attività di catechesi, agli incontri ed alle iniziative parrocchiali di carattere non commerciale, nonché le abitazioni per il clero addetto alla chiesa (cioè: alla parrocchia), quelle dei sacrestani assunti con l’apposito contratto e le abitazioni delle religiose operanti per convenzione anche all’interno della pastorale parrocchiale.

L’abitazione del parroco (la casa canonica) è una pertinenza del luogo di culto. La casa sita nei pressi della chiesa, destinata ad abitazione del parroco addetto alla stessa, è pertinenza di quest’ultima, salvo prova contraria che deve essere fornita dall’ente impositore. A tal fine non rileva che il parroco abbia la residenza anagrafica in altro comune o comunque non risieda, temporaneamente, in quella casa, essendo il vincolo pertinenziale collegato ai beni e non alle persone che si trovano a operare nei fabbricati in questione (chiesa e casa canonica). Non rileva per la Corte neppure la categoria catastale in cui è iscritta la casa. Tuttavia, deve sempre essere verificata l’effettiva destinazione della casa canonica, in quanto il rapporto pertinenziale può essere sciolto anche da fatti concludenti. Analogo ragionamento va svolto per l’abitazione dei collaboratori del parroco, sempreché si tratti di religiosi a servizio della medesima chiesa parrocchiale. La Corte ha infatti ritenuto che rientrino nell’esenzione tutte le abitazioni dei vari parroci addetti alla chiesa (Cassazione, Sez. 5^, 12 novembre 2021, n. 33766; Cassazione., Sez. 5^, 16 novembre 2021, n. 34451). La cooperazione alla celebrazione del culto, alla somministrazione dei sacramenti e alla gestione delle attività pastorali può valere a estendere l’esenzione anche ai collaboratori del Parroco.

Sono esenti anche gli immobili destinati ad abitazione dei membri di una congregazione religiosa, con modalità assimilabili all’abitazione di una unità immobiliare da parte del proprietario e dei suoi familiari. Questi immobili sono infatti destinati alla formazione del clero e dei religiosi (articolo 16, lettera a, legge 222/1985) e sono altresì destinati ad attività ricettiva, parimenti inclusa nell’esenzione di cui all’articolo 7, comma 1, lettera i) citata e da intendersi riferita all’ospitalità e accoglienza di persone in genere, non necessariamente terze ed estranee all’ente proprietario.

Analogamente spetta l’esenzione per gli immobili di un ente non commerciale religioso utilizzati da un altro ente religioso. Infatti, seppure la norma della lettera g) del comma 759 dell’articolo 1 della legge 160/2019 richiede il requisito dell’utilizzazione diretta da parte del possessore, va ricordato che il comma 71 dell’articolo 1 della legge 213/2023 ha introdotto una norma interpretativa (quindi retroattiva) sia della citata lettera g) che delle precedenti disposizioni in materia (articolo 7, comma 1, lettera i, del Dlgs 504/1992), in base alla quale l’esenzione riguarda anche gli immobili concessi in comodato ad un altro ente non commerciali strutturalmente o funzionalmente collegato all’ente proprietario, a condizione che lo utilizzi esclusivamente per lo svolgimento di una delle attività agevolate di cui alla citata lettera g), con modalità non commerciali. Norma che deroga al requisito dell’utilizzo diretto. Conclude la Corte che ne consegue che anche l’utilizzazione indiretta dell’immobile a titolo di comodato per la destinazione esclusiva ad attività di religione o di culto da parte di un altro ente ecclesiastico può venire in rilevo ai fini dell’esenzione da Imu a vantaggio dell’ente ecclesiastico che ne sia proprietario.

Dal punto di vista probatorio il contribuente deve limitarsi a dimostrare la sua natura di ente non commerciale, ente ecclesiastico, e, sul piano oggettivo, la destinazione esclusiva dell’immobile all’attività di religione o di culto, essendo intrinseca la natura non commerciale dell’attività svolta, laddove grava sull’ente impositore di provare a contrario l’eventuale esercizio di un’attività commerciale.

(*) Vicepresidente Anutel

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