Imprese

Iren, via a nuovi impianti per le materie prime critiche

Le due strutture in Toscana dedicate a metalli preziosi e pannelli fotovoltaici

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di Celestina Dominelli

Un piano strategico al 2030 da 10,5 miliardi in cui l’economia circolare rappresenta uno dei driver principali e in cui il trattamento e il recupero dei Raee (i rifiuti elettrici ed elettronici), miniera cruciale per l’approvvigionamento di materie prime critiche, riveste un ruolo centrale. Tanto che Iren, forte della capacità insita nelle multiutility di presidiare le diverse fasi della filiera, già gestisce un impianto specifico su questo terreno, nel comune di Volpiano, nel torinese, con una capacità di oltre 20mila tonnellate l’anno, ma è pronta a scommettere su due nuovi impianti per un investimento complessivo di circa 10 milioni di euro: il primo in Toscana, che dovrebbe vedere la luce tra la fine dell’anno e l’inizio del 2024, sarà destinato all’estrazione di metalli preziosi da schede elettroniche estratte da rifiuti Raee (come oro, argento, palladio e rame) e rappresenterà un unicum a livello italiano; il secondo, in provincia di Siena e con la stessa deadline, sarà invece focalizzato sul riciclo dei pannelli fotovoltaici a fine vita e avrà una capacità di trattamento massima di circa 9mila tonnellate annue per vetro, alluminio, rame, plastica e silicio.

«Le multiutility come Iren sono lo strumento più potente per abilitare la rivoluzione circolare che è diventata un’esigenza ormai irrinunciabile - spiega al Sole 24 Ore il presidente di Iren, Luca Dal Fabbro -. Più del 90% delle materie prime critiche che servono alla filiera industriale vengono direttamente e indirettamente da un unico paese che è la Cina. E l’Italia - chiarisce ancora il manager -, pur essendo un paese ricchissimo di rifiuti elettronici, ne esporta il 90% per farli lavorare altrove». Con il risultato di alimentare, al pari dell’Europa, una fortissima dipendenza dall’estero, come documenta il position paper che è stato realizzato dalla società in collaborazione con The European House-Ambrosetti e che sarà illustrato oggi alla presenza del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. «Se riuscissimo a lavorare “in casa” quel tesoretto - prosegue Dal Fabbro - riusciremo a essere indipendenti, da qui al 2040, per il 30-35% di fabbisogno da materie critiche estratre dai rifiuti».

Insomma, il potenziale non manca. Ma, insiste Dal Fabbro, bisogna creare le condizioni per far sì che l’Italia non si trovi a dover fronteggiare problemi di scarsità delle materie prime strategiche a oggi più rilevanti. Che, secondo lo studio sono dieci (dal rame al manganese, dal nichel al litio, dal cobalto al titanio) e che sono previste rimanere tali anche al 2040. «Come multiutility - precisa il presidente di Iren - possiamo essere uno straordinario abilitatore nello sviluppo di questo settore perché siamo presenti sul territorio, raccogliamo i rifiuti e abbiamo le capacità per poterli lavorare. Ma occorre avviare una progettualità di recupero dei nostri Raee perché l’Italia ha delle miniere a cielo aperto che sono i nostri rifiuti e che però, al momento, sono poco valorizzate».

Quale sarebbe dunque la strada da battere? Dal Fabbro va dritto al punto: «Serve un patto tra le istituzioni, l’industria e le multiutility perché c’è da organizzare una filiera di raccolta dei Raee unitamente alla selezione dei materiali che servono all’Italia e che, come documenta lo studio, sono nel complesso una decina, senza i quali metà del Pil finirebbe per piantarsi». Per invertire il trend, dunque, «chiediamo al governo focalizzazione e processi autorizzativi veloci». Anche perché, osserva ancora Dal Fabbro, «se ci sono gli strumenti, l’industria risponde e anche in modo forte». Prova ne sono il Pnrr e le linee di investimento sull’economia circolare tra quelle in più avanzato stato di attuazione, a cominciare dall’intervento per i “progetti faro” dedicato al trattamento e riciclo dei Raee che ha registrato proposte progettuali per oltre 500 milioni di euro. «Un numero che, da un lato, certifica la domanda impiantistica - chiosa Dal Fabbro - e, dall’altro, la disponibilità e la capacità tecnica delle imprese a svilupparli».

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